Acqua: la Santa alleanza del Nord nella battaglia delle sorgenti

Repubblica - 08 dicembre 2009 - di Paolo Rumiz
TREVISO Blindato "alla fonte" con voto di fiducia, il decreto sulla privatizzazione obbligatoria delle acque italiane è già impantanato in un Mekong di pronunciamenti contrari. E' una guerra che ha il suo epicentro al Nord, perché i più arrabbiati sono gli amministratori della Lega, che non perdonano ai rappresentanti in parlamento di avere votato un provvedimento che toglie loro sovranità e potere. «L' acqua xe de noaltri», l' acqua è nostra, hanno detto chiaro a Treviso, la provincia di Luca Zaia, ministro dell' agricoltura, la più leghista d'Italia. Ed è successo l' inverosimile: il Pd all' opposizione ha presentato un ordine del giorno che rivendicava l' acqua come diritto (quindi non merce), e la maggioranza lo ha votato in cinque minuti, senza pensarci un attimo. «Non si è quasi discusso perché l' acqua è anche una matrice identitaria, dunque non si tocca» spiega Marzio Fàvero, assessore alla cultura di una provincia che tra Piave, Brenta, golene, risorgive, marcite, canali e "canalassi" sembra una carta assorbente.
A Roma non hanno capito che non si metteva in discussione semplicemente un bene, ma qualcosa di più complesso: un simbolo. Acqua, terra, sangue: su queste cose la Lega non la governa nessuno. E così ecco il ribaltone delle alleanze, un segnale forte per le elezioni regionali del prossimo anno, dove Lega e Pdl sono già ai ferri corti per la scelta del governatore. «Abbiamo intercettato i malumori dei sindaci e così ci abbiamo provato», fa Lorenzo Biagi dell' Ulivo, primo firmatario del documento. Ed è andata come è andata. Così accade che dal confine francese a quello con la Slovenia il fronte del «no» si rafforza senza riguardo per gli schieramenti. Forte della sua specialità di statuto, la Valle d' Aosta - a due settimane dal voto in parlamento- ha risposto classificando l' acqua nella sua normativa regionale come "bene privo di rilevanza economica", sul quale, di conseguenza, diventa impossibile operare privatizzazioni. Il Trentino ha in canna il proiettile di un ricorso di costituzionalità contro il voto parlamentare; a Bologna la Cgil ha indetto per l' 11 dicembre una manifestazione dove primeggia il tema dell' acqua; a Torino si raccolgono firme per chiedere al Comune di dire "no". A Belluno si raccolgono firme per cambiare gli statuti comunali; e la provincia di Udine, retta dalla Lega, ha dichiarato di opporsi alle multinazionali rivendicando il diritto a servizi gestiti «in loco».
Ma il malessere più forte viene dalla Lombardia, dove alla perplessità nei confronti del decreto Ronchi si è aggiunta, pochi giorni fa, la batosta della Corte costituzionale che ha bocciato una legge fortemente voluta dal presidente Formigoni: quella che tentava di affidare ai privati la sola erogazione dell' acqua (leggi i contatori, un' operazione di pura rendita), lasciando alla mano pubblica le rogne e gli oneri, cioè la manutenzione straordinaria e gli indilazionabili investimenti per l' ammodernamento della rete. A Pavia, la provincia-pilota, era già partita la gara il 20 ottobre, ma due giorni fa è arrivata la tegola che ha seminato smarrimento in tutta la regione, ridando fiato al fronte del "No" contro il decreto ministeriale. Gli ambiti territoriali di Cremona, Varese, Como e Lecco, che dovevano mettere in gara le loro reti subito dopo l' esperimento pavese, ora non sanno che pesci pigliare, mentre il servizio acque della Regione guidato da Raffaele Tiscar (ex Lyonnaise des Eaux) insiste perché si parta lo stesso, a prescindere dal "niet" dell' Alta Corte. La partita è grossa, gli appetiti non sono da meno, vista la corposità del business-bollette. Ma ora che la macchina s' è inceppata, i sindaci, inclusi quelli della Lega Nord, chiedono ad alta voce di non svendere le acque lombarde, e il presidente del consiglio regionale Giulio De Capitali del Carroccio, si fa apertamente interprete del loro malumore.
La torta che maggiormente ingolosisce è quella delle acque milanesi, divise fra "Amiacque", totalmente pubblica, che cura la rete dell' hinterland,e "Metropolitana Milanese", che governa il Comune capoluogo. Entrambe dovevano iniziare dal primo gennaio un processo di cessione di pacchetti azionari, ma «anche qui cresce la volontà di rivendicare l' acqua come pubblico bene», osserva l' ambientalista Roberto Fumagalli, vicino al "Contratto mondiale per l' acqua". Tanto più che i due enti sono considerati gioielli di efficienza persino dagli occhiuti osservatori di Mediobanca, che in un rapporto ufficiale li hanno classificati ben al di sopra delle Spa quotate in borsa come Hera, Acea, Iride. Fontana - un cognome che pare un programma - è il sindaco di Varese, di nome Attilio, leghista nella terra di Bossi, e ha apertamente manifestato la sua opposizione al decreto Ronchi: «Con la privatizzazione c' è il rischio che il servizio costi di più; e del resto, quando vado in Toscana, dove è già così, non faccio che sentire critiche e lamentele». Ma c' è anche il friulanissimo Fontanini, nome Pietro, altro cognome premonitore, presidente della provincia di Udine, il quale taglia corto affermando che «l' acqua è pubblica per definizione». E anche lì, nella terra che, per le sue precipitazioni abbondanti, è considerata il pisciatoio d' Italia, la Lega rivendica sul tema il più netto autogoverno.
La battaglia s' incattivisce, con le Spa in trincea e i movimenti per l' acqua all' assalto, decisi ad andare a referendum popolare - rigorosamente apartitico - con la raccolta di 500 mila firme. Diventa di conseguenza tosto anche il braccio di ferro con gli utenti: in Campania la società "Acqualatina" ha tagliato le forniture alla Sesta flotta della base di Gaeta, che si era trovata di fronte a bollette ritenute eccessive. In Lombardia, la bresciana A2A ha tolto l' acqua a cinque condomini morosi, e da una settimana 150 famiglie devono approvvigionarsi a un pozzo. In questi chiari di luna di alleanze trasversali, il Pd fatalmente si spacca. A Mantova metà del partito (che ha la maggioranza in Comune) ha votato una mozione sull' acqua pubblica presentata da Rifondazione (in minoranza) e l' altra metà si è invece astenuta, per affinità alla linea privatizzatrice di Linda Lanzillotta, che a suo tempo aveva lavorato sulle reti idriche nel governo Prodi.
E' guerra aperta fra l' ala "business oriented" e quella che vorrebbe spingere al referendum, con Ermete Realacci, Marina Sereni, Emanuele Fiano e Debora Serracchiani. Che senso ha privatizzare un servizio pubblico che funziona? Se lo chiede Enrico Gherghetta, Pd, presidente della provincia di Gorizia e del suo ambito idrico territoriale comprensivo di 25 Comuni. Rimasto pubblico, eroga acqua giudicata ottima a meno di un euro al metro cubo e contemporaneamente ha fatto partire investimenti per 250 milioni di euro dopo avere ottenuto (caso unico in Italia nel campo dei servizi idrici) finanziamenti della Banca Europea Investimenti a tasso ultra-agevolato, lo 0.48 per cento. «Se a casa mia no son paròn de l' acqua, quela no xe casa mia» scherza Gherghetta, che per il suo servizio non chiede un euro di gettone-presenza. Chiarisce il concetto: «Mentre gli altri si scannano su chi farà da presidente, noi non abbiamo poltrone da difendere; la nostra unica preoccupazione è la qualità». Il suo direttore generale Paolo Lanari: «Vengo dal settore privato, come tutto lo staff, ma posso testimoniare che da nessuna parte sta scritto che il pubblico non debba funzionare. Analogamente da nessuna parte sta scritto che la privatizzazione è il toccasana». Gorizia va bene, costa poco, rende, ha la fiducia delle banche e quella degli utenti. Perché cambiare? A Roma nessuno risponde.