L'Italia e la Libia, di Valentina Bartolucci

L’Italia ha raramente brillato per coerenza nelle sue scelte politiche, rapporti e alleanze internazionali. Tralasciando il passato per focalizzarsi unicamente sul presente, ad una studiata e diplomatica attività politica capace di gestire equilibri internazionali delicatissimi, al momento sembra essere preferita una ‘politica delle pacche sulle spalle’ con esibite amicizie condite da gestualità talvolta imbarazzanti (come il famoso baciamano a Gheddafi) spacciate per innocenti esibizioni di guasconeria. Una gestione politica di questo tipo però se può reggere in tempi di quiete difficilmente regge in periodi di crisi – i nodi allora vengono al pettine e, al momento l’Italia sembra molto ‘annodata’ per una serie di ‘problemi collaterali’: le amicizie ‘difficili’ e l’invasione di profughi.
Riguardo al primo punto, i governi europei hanno lasciato all’Italia l’esibizione di queste amicizie, con ampio clamore mediatico (che qualcuno aveva interpretato come rinnovato peso diplomatico dell’Italia nello scacchiere internazionale). Per quanto riguarda il secondo punto - il problema dei profughi - l’Europa sembra non volerne a che fare. L’Italia - vuoi per un’oggettiva posizione geografica, vuoi per determinate scelte politiche concernenti i flussi migratori e in generale sulla mobilità delle persone nel mondo -, sta dimostrando di non saper efficacemente gestire questa emergenza.
Un elemento paradossale della situazione è dato dal fatto che la grande maggioranza dei profughi che partono o passano dal nord Africa per approdare sui nostri lidi non ha come meta finale l’Italia ma altri Stati europei. Le più recenti statistiche e fatti lo confermano ampiamente. Un servizio de l’ Espresso (n. 15 del 14 aprile 2011) su questa problematica, ad esempio, conferma che in cima ai desideri dei migranti c’è la Francia (di gran lunga la preferita) seguita da Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America.
L’Italia sarebbe felice di far transitare i profughi sul proprio territorio e farli arrivare negli altri Stati europei, il problema è che nessuno li vuole. Men che mai la Francia che è arrivata a sigillare l’ingresso nel suo territorio al confine di Ventimiglia.
A questo punto il governo italiano si ritrova il cerino acceso in mano: dopo proclami roboanti, leggi ad hoc, tentennamenti politici, minacce insensate (quali quella del Ministro leghista di uscire dall’Europa), un passato ombroso in politica estera, appelli e suppliche all’Europa, al momento siamo in una fase di stallo non sapendo come gestire la situazione. L’unica cosa certa è che regna una grande confusione. Sul piano interventista non siamo certi arrivati prima – su quella che sembrava una nostra ‘riserva di caccia’ si sono precipitati governi con appetiti famelici e bisognosi di rifarsi un’immagine, sia internazionalmente che ancor più internamente. Inoltre, anche all'interno della stessa maggioranza non c'e una linea di governo comune. Ad esempio, recentemente il Ministro degli Interni Maroni ha affermato che la Lega è rimasta sorpresa dal 'voltafaccia' di Berlusconi in quanto nell'ultimo Consiglio dei Ministri il Presidente del Consiglio si era detto contrario ai bombardamenti e ha annunciato di ritenere necessario un passaggio parlamentare. Insomma, le cose non sembrano essere tanto facili.
L'Italia è certamente in una situazione critica dalla quale però è possibile uscire. Da quanto sopra detto è chiaro che è sbagliata la prospettiva con cui si affronta la questione: fino ad ora si è sempre partiti da un punto di vista economico. Conseguenze inevitabili sono sempre nuove divisioni e rivalità. Significativa a questo riguardo è la corsa tragico-comica a chi bombarda per primo per rivendicare così il posto d’onore al tavolo della spartizione del bottino (petrolifero e non solo), l’Italia che resta spiazzata e non sa che strada imboccare (siamo andati dall'appoggio praticamente incondizionato a Gheddafi al ‘non disturbiamo il manovratore’ fino all'ultimo brusco voltafaccia).
E’ necessario invece rovesciare il punto di vista ponendo l’economia come conseguenza logica e pratica dell’azione politica-etica-sociale e umanitaria degli Stati che intervengono nelle criticità. Un’utopia? Piuttosto il contrario. Nel mondo globalizzato in cui individui e popoli sono interconnessi si fanno più ‘affari’ in un mondo pacificato che non in uno conflittuale. Naturalmente, non si devono ricercare facili e immediati guadagni, non ci vogliono governi che si agiscano solo in situazioni di emergenza o si lascino condizionare da logiche elettorali e da bottega.
Piuttosto, l’Italia e il mondo hanno bisogno di persone di larghe vedute, che abbiano la capacità e pazienza per seminare quei germi di cooperazione, giustizia e pace che forse essi stessi non avranno la possibilità di vedere arrivare a una maturazione. Ci vuole una grande visione e tanto coraggio. E naturalmente non si può sperare di ottenere risultati positivi attraverso l’opzione della guerra, antitesi prima di umanità.

Valentina Bartolucci è Docente sulle politiche del terrorismo
Scienze per la Pace, Università di Pisa