Strategia della tensione in Vaticano

Caos in Vaticano.
E’ necessaria una reazione spirituale di tutti i cristiani a questa deriva.

Mai lo smarrimento era arrivato a questi livelli nella Chiesa cattolica. Certo nel Novecento non erano mancate lotte di potere condotte senza esclusione di colpi. Dal veto dell’imperatore d’Austria nel 1903 contro l’elezione al papato del cardinal Rampolla a quel novembre 1962 nel quale il Sant’Ufficio passò a Indro Montanelli accuse di modernismo per macchiare la giovinezza di Giovanni XXIII, dalla cacciata di Montini da Roma orchestrata dalla corte pacelliana nel 1954 alla lotta del torrido conclave del 1978 che convinse tutti a votare il Papa straniero, su su fino alla vicenda dell’Ambrosiano e di Marcinkus, nella quale toccò a un cattolico pulito come Nino Andreatta salvare la Chiesa dalle sue sozzure.
Ma stavolta c’è qualcosa di più. Ed è il senso di un disordine sistemico: la sensazione che ci sia ancora altro che debba deflagrare in tutta la sua catastroficità. Quelle che ci sono state negli ultimi anni, negli ultimi mesi e negli ultimi giorni non sono state solo fughe di notizie e non si possono rubricare come tradimenti. Sono pezzi di una strategia della tensione. Un’orgia di vendette e di vendette preventive che è ormai sfuggita di mano a chi s’illudeva di orchestrarla o di giovarsene. L’origine di tutto ciò non è misteriosa ed è — il Papa lo sa — tutta italiana. Per anni s’è pensato che alla Chiesa non servisse il confronto libero e duro delle idee (si vedano i duelli Kasper-Ratzinger, per dire): ma che invece le giovasse un meccanismo denigratorio fatto di blog, di corsivi, di aggettivi allusivi coi quali colpire nella fedeltà alla Chiesa e al Papa altri cattolici — se mai recuperando qualche documentino, gratis o a pagamento.
Questa tela di illazioni, pettegolezzi e calunnie ha prodotto liste di proscrizione recepite da autorità sempre più anemiche, ha legittimato ai massimi livelli un para-magistero fatto di risentimenti oltraggiosi (come quelli sparati dal sito dell’Espresso sull’invulnerabile priore di Bose, Enzo Bianchi) e ha alimentato la bacata morale dell’anonimato (come quella in cui finì il mandato di Boffo al Toniolo). Da qui ai dossier completi, come quello stampato in «Vaticano spa», il passo è stato breve: e poi è venuto tutto il resto, con una sequenza di colpi e contraccolpi sempre più desolanti.
È evidente che la Chiesa cattolica (e non solo lei) ha patito del calo del livello intellettuale delle classi dirigenti che chiamiamo crisi: ma forse la Chiesa ne porta perfino qualche responsabilità. Lungo gli anni tremendi fra il 1914 e il 1945 (all’Est fino al 1989), la congiuntura politica o l’ingenua attesa di una cristianità restaurata hanno spinto la Chiesa a confidare in un lavoro di formazione intensa delle coscienze. Un capitale umano senza pari, fabbricato nelle canoniche e sulle riviste, è stato immesso senza troppe distinzioni dentro culture intransigenti, clericali, democratiche, confessionali, progressiste. Una riserva talora minoritaria (si pensi alle correnti Dc), ma sufficiente a tenere in equilibrio le cose o addirittura a sanarle con la propria limpidità interiore.
Negli ultimi trent’anni, invece, s’è vissuto consumando quel capitale: lo si è speso per coprire politiche «contestuali» o per illudersi che giocare a scacchi col potere rendesse potenti. E quando tutto era ormai consumato è arrivato Benedetto XVI: la cui distanza ontologica da questi modi d’essere ha finito paradossalmente per agevolarli. E il mood conservatore del suo pontificato ha finito per eccitare quei suoi sostenitori reazionari delusi dal suo stile. La durezza dei passaggi di questi due giorni — Gotti Tedeschi ha avuto un trattamento peggiore di Marcinkus, il maggiordomo del Papa è stato preso come Agca — potrebbe dunque essere il segnale che l’investigazione tanto attesa s’è avviata o sviata, che voleranno stracci di diversi colori, che la «gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso» dovrà cambiar lavoro.
Ma è certo che se non ci sarà una reazione spirituale il disastro sarà completo: anziché giocare all’amletico gioco dell’anno (crescita o rigore?) i vescovi su questo dovrebbero concentrarsi. Ne ha bisogno la Chiesa, se ne gioverebbero l’Italia e l’Europa.

Alberto Melloni
Pubblicato il 29 maggio 2012: Dai Documenti di “Noi Siamo Chiesa”.