Sud Sudan, 191 anni di lotta per la libertà

Qualche settimana fa, il Consiglio dei Ministri del governo del Sud Sudan, presieduto dal suo presidente Salva Kiir Mayardit, ha approvato date significative e storiche per il popolo sud sudanese. 191 anni di lotta per la libertà!
Il governo ha voluto mandare un messaggio alle varie etnie che compongono il Sud Sudan, al governo del Nord e soprattutto all’opinione pubblica mondiale, che la loro lotta viene da lontano. E con essa vuole andare lontano.

1820 – 2011

Gli anni dal 1820 al 2011 sono stati identificati come un importante periodo durante il quale i popoli dell’intera regione hanno lottato per la loro libertà contro la schiavitù e la colonizzazione portata da europei e arabi agli inizi del 19° secolo. A questo periodo si aggiunge anche il tempo nel quale i sudisti hanno sentito fortemente la dominazione e l’oppressione dei regimi di Khartoum.
Per mostrare la difficoltà in cui versavano gli africani di questa parte del continente, uso un esempio a me molto vicino. San Daniele Comboni (1831-1881), fondatore dei Missionari/e Comboniani/e, vescovo e padre nella fede in questa terra sudanese di schiavitù e dolore, lottò contro la tratta riscattando molti schiavi e portando avanti il Piano della Rigenerazione dell’Africa con il motto: Salvare l’Africa con l’Africa cioè salvare l’Africa con gli Africani.
La schiavitù verso le Americhe fu ufficialmente proibita nel 1838 ma non in Africa. La mentalità di sfiducia nei confronti degli africani della capacità di gestire il proprio continente giungeva al punto che in molte parti dell’America, gli africani erano considerati senz’anima. Durante il Vaticano I che fu interrotto nel 1870, Comboni cercò con grande entusiasmo e passione di convincere i vescovi che vi partecipavano a fare una dichiarazione formale dove la Chiesa Cattolica dichiarava ufficialmente che gli africani erano esseri umani con la stessa intelligenza e capacità come gli altri esseri umani sulla terra.

Questo è solo uno dei tanti esempi del lungo cammino riconosciuto da molti intellettuali e politici come dominio esterno che ha portato dopo lunga lotta, sofferenza, fame, dolori, morti e divisioni alla autodeterminazione che culminerà nella dichiarazione d’indipendenza del 9 Luglio 2011 di questo nuovo stato il 9 Luglio 2011. Nascerà quindi il 54° paese africano: la Repubblica del Sud Sudan. Diciamo 55° se consideriamo anche le lotte che il popolo Sahrawi sta vivendo da tempo nel Sahara Occidentale: riconosciuto dall’AU (African Union) ma non dalle Nazioni Unite e dal Marocco che ancora detiene il potere.
La gente del Sud Sudan ha votato all’unanimità per l’indipendenza dal resto del Sudan nel referendum di secessione del 9 Gennaio 2011 che è stato monitorato da osservatori internazionali. Questa data passerà sicuramente alla storia perché marcherà un passaggio storico fondamentale per l’intero Sudan ma anche per l’intera Africa.
Il voto referendario era uno dei passi fondamentali dell’Accordo di Pace del 2005 che prevedeva la firma tra i ribelli del SPLA, Sudan People’s Liberation Army, e il governo del Sudan cioè il partito al potere NCP, National Congress Party di Omar El Bashir dopo quasi 40 anni di guerra e oltre 2 milioni di morti. Le due guerre civili si sono combattute a partire dalla data d’indipendenza 1956 fino al 2005 con solo un’interruzione dal 1973 al 1983.
Il periodo precedente l’indipendenza cioè dal 1820 al1956, ha visto la resistenza nella lotta contro gli invasori schiavisti del territorio del Sud Sudan ma anche quello dei colonizzatori come i Turchi, gli Egiziani, gli Inglesi e altri europei.
Ma anche il periodo dal 1955 al 2011 ha marcato un numero notevole di lotte per la libertà e autonomia contro i governi arabi di Khartoum che si sono susseguiti dall’indipendenza del Sudan dal 1956 in poi.
Diversi storici e politici hanno sottolineato come la fiera battaglia di resistenza agli invasori coloniali fu combattuta dagli antenati della futura nazione che nascerà a Luglio.
Uno dei tanti esempi che sono considerati dei martiri dagli storiografi sud sudanesi e ricordato anche in eventi ufficiali è Guek Ngundeng che fu ucciso durante un’operazione di terra e di bombardamenti da parte degli Inglesi che avevano preso d’assalto il suo quartier generale di Bieh, nell’attuale Upper Nile State. Simili battaglie sono state combattute anche in regioni come lo Stato dell’Equatoria e del Bar El Ghazal.
Gli amministratori coloniali hanno anche applicato decisioni assurde per il futuro del Sud Sudan. Il governo inglese aveva introdotto la politica dei distretti chiusi, cercando di separare il nord dal sud sudan. Ironia della sorte annettendo il Sud Sudan alla regione dell’Africa dell’Est nel periodo dal 1930 prima che questa decisione fosse annullata.
Nel 1946 gli Inglesi uniscono le regioni amministrative del Nord e del Sud senza consultare il Sud. Una conferenza Nord-Sud fu organizzata dal regime inglese nel 1947 a Juba durante la quale il federalismo fu richiesto dal Sud Sudan ma non fu mai concesso.
Gli amministratori coloniali inglesi precedentemente avevano deciso di annullare la politica dei distretti chiusi durante gli anni ’40. Nell’agosto 1955, alcuni mesi prima dell’indipendenza ci fu un’ammutinamento a Torit, una cittadina del Sud e in pochi anni dopo l’indipendenza diventò ribellione che diventò la prima guerra civile del Sudan e tuttora ricordata come Anyanya 1.
Gli Inglesi consegnarono la regione al Nord Sudan nel 1956. Lasciarono il Sudan con il grande dilemma del futuro di questo paese già diviso e aprirono così la strada alla guerra civile.
Dal 1956 in poi è storia più recente e i dati di questo infinito conflitto sono noti a molti. Nomi sconosciuti ma anche conosciuti come Omar El Bashir, John Garang, Al Turabi o Salva Kiir sono già entrati nella storia di questa parte dell’Africa. Nel bene e nel male. Ma sembra che la storia non insegni nulla a dittatori, eserciti e comunità internazionale.


LE INCOGNITE DELLA REGIONE DI ABYEI

È notizia invece di questi giorni che si è raggiunto un accordo per la smilitarizzazione di Abyei, la zona ricca di petrolio più a rischio e cuscinetto tra Nord e Sud Sudan. Il Nord Sudan ha giurato di non riconoscere l’indipendenza del Sud Sudan se l’area di Abyei rimane nelle mani del Sud. Ed infatti in queste ultime settimane l’esercito SAF (Sudan Armed Forces) ha invaso completamente la città e la zona mettendo in fuga migliaia di sud sudanesi dell’etnia Dinka Ngok. Il tutto per confondere e tenere sotto scacco il governo del sud ed evitare di perdere la zona produttiva di petrolio
Ma ora si aprono di nuovo due fronti che analisti politici avevano già previsto da tempo come punti caldi della regione: il Sud Kordofan e il Blue Nile.
Nel momento in cui scrivo, il Nord e il Sud hanno raggiunto un accordo sulla regione contesa di Abyei occupata dai militari di Khartoum il 21 maggio. L'intesa stipulata tramite il mediatore dell’Unione Africana ed ex presidente sudafricano, Thabo Mbeki, prevede l'invio ad Abyei di 4.000 Caschi Blu etiopici, il ritiro dei soldati di Khartoum e la smilitarizzazione della zona. I 4.000 Caschi Blu verranno dispiegati in un'area estesa circa 10.000 kmq mentre la missione ONU in Sudan conta 10.000 uomini su un territorio di 2 milioni e mezzo di kmq. La crisi di Abyei ha costretto alla fuga circa 60.000 persone, che si trovano in condizioni precarie, aggravate dalle piogge che in questa stagione comiciano a cadere sulla regione.
Il destino di Abyei doveva essere deciso con un referendum separato che si sarebbe dovuto tenere in Gennaio 2011, contemporaneamente con quello sull'indipendenza del Sud Sudan. Ma i contrasti sulla composizione delle liste referendarie hanno impedito il suo svolgimento.
Abyei è importante perchè area di transito dei pastori nomadi Massiryia del Nord che si spostano da nord a sud in cerca di pascoli e acqua ma anche e sopratutto per la presenza di giacimenti di petrolio. La questione su questa regione è stata estremamente politicizzata da parte del Nord fino all’estremo di minacciare un’ulteriore guerra. L’accordo di Abyei sembra riportare qualche “ordine” ma nasconde ancora molti punti di domanda e incognite che non vedono fino ad ora una soluzione vera all’empasse che divide il Nord e il Sud.

Il SUD KORDOFAN: pulizia etnica dei Nuba?

E rimane aperta anche l'altra crisi ancora più difficile in questo momento, che ancora oppone nord e sud Sudan, quella del sud Kordofan, in pieno territorio del Nord Sudan. Il 5 Giugno, le truppe del nord hanno occupato il capoluogo dello stato, Kadugli e altre aree bruciando chiese e uccidendo coloro che incontravano per strada. Continuano i bombardamenti delle aree circostanti, in particolare i Monti Nuba. Testimonianze di persone sul posto e fuggite riportano di gravi abusi dei diritti umani e uccisioni disumane che ci riportano ad un conflitto che sta diventando sempre più etnico contro il popolo Nuba.
I continui bombardamenti mettono a repentaglio la vita di civili e anche del personale delle Nazioni Unite. L’esercito del Nord ha anche minacciato di sparare a ogni aereo delle Nazioni Unite compreso quelli che portano soccorso, cibo e aiuti vari. Quindi sia al personale di Ngos e delle Nazioni Unite è vietato qualsiasi tipo di soccorso.
Secondo le Nazioni Unite, più di 360.000 persone sono fuggite in Sudan negli ultimi 6 mesi e più di metà nell’ultimo mese di maggio e giugno. Soltanto in Sud Kordofan probabilmente 75.000 persone. Molte Ngos internazionali stanno facendo evacuare il loro staff dal territorio e una crisi umanitaria di enormi proporzioni si sta aprendo di nuovo.

LE ULTIME STRATEGIE DI BASHIR

A Juba e in altri posti del Sud Sudan i lavori per la preparazione della grande festa per l’indipendenza del 9 Luglio vanno avanti senza sosta. La gente del Sud sente importante e storico questo momento e non vogliono farselo sfuggire. El Bashir può continuare a ostacolare in maniera sempre più sofisticata e brutale l’avvicinarsi alla data storica del 9 Luglio. Ma la gente è sempre più determinata ad arrivare fino in fondo.
In questi giorni nella capitale e in tantissime parti del Sud Sudan non si trova più diesel e carburante, ma anche cibo e altri prodotti che arrivavano da sempre da Khartoum su decine e decine di lunghi camion. Il regime di Khartoum ha deciso di imporre una chiusura del mercato e delle vie di comunicazione verso il sud bloccando l’accesso delle strade verso il Sud. Un ultimo tentativo di mettere in ginocchio l’economia, i cittadini e il nuovo paese che sta per nascere. E non ultimo gli attacchi militari pesanti e brutali ad Abyei e Sud Kordofan.
Una strategia di chi non ha altra via se non quella della violenza. Dell’eliminazione del nemico per continuare ad intimorire, controllare e accusare la controparte per screditare e umiliare.
Sull’altra sponda, il partito al potere SPLM (Sudan People’s Liberation Movement) che continuerà a governare al Sud, con presidente Salva Kiir Mayardit, dovrà fare i giusti passi verso un governo di inclusione sin dall’inizio del suo nuovo mandato per non cadere nella tentazione di diventare un partito unico ed esercito etnicamente molto connotato della tribù dinka, la maggioritaria in questo paese.
Fino ad ora le altre etnie hanno camminato insieme sin dalle prime lotte d’indipendenza ma molto spesso sotto il controllo e dominio della tribù dominante. Nei prossimi mesi e anni cercheremo di capire dove il governo vorrà investire il proprio futuro. Sulla propria gente o su interessi di un’elite al potere al servizio di multinazionali, compagnie varie o interi stati, che si sta già accaparrando la terra del ricco Sud Sudan. Da uno studio recente di una Ngo norvegese già il 9% dell’intero territorio del Sud Sudan è già stato venduto o dato in affitto per biodiesel, vegetali, produzione cibo e altri prodotti.
Le Chiese Sud Sudanesi hanno un grande impegno e sfida di fronte a sé. Essere la coscienza critica dei governanti e di tutto il popolo per continuare ad essere credibili e stimolare chi ha le redini del potere a dare un vero futuro alla maggioranza della popolazione che sono giovani e bambini che vengono da una storia di guerra e di violenza. Un lavoro immane che fino ad ora, le Chiese hanno sempre assunto con grande coraggio e determinazione nel corso di questi 191 anni di lotta per la libertà e identità di questi popoli. Oggi c’è bisogno di camminare sempre più insieme come etnie diverse per cercare una comune identità per diventare davvero un’unica nazione. Lo slogan che la Chiesa Cattolica ha adottato per la preparazione a questo momento storico del 9 Luglio è molto stimolante e coraggioso:
UNA NAZIONE DA OGNI TRIBU’, LINGUA E POPOLI!
Una nazione che nasce ha davanti a sé un grandissimo lavoro che ad oggi sembra impensabile. Ma il cammino che questi popoli hanno compiuto in questi due secoli ci fa ben sperare che alla fine vince la Vita contro la morte! Pazienza, determinazione, coraggio, sacrificio, resistenza e temerarietà son sempre stati valori forti per questa gente che è passata attraverso degli inferni terreni inenarrabili. Ma come insegna sempre l’Africa, la Speranza è sempre l’ultima a morire!
Vorrei concludere con la presentazione dell’inno nazionale che è stato scelto tra alcuni proposte presentate al governo e ad una commissione ad hoc.

Anche un inno può dare qualche indicazione su quali valori si vuole costruire il futuro:

INNO NAZIONALE del SUD SUDAN

O Dio,
ti lodiamo e ti glorifichiamo
per la Grazia che tu hai donato al Sud Sudan.
Terra di grande abbondanza
Mettici insieme in pace e in armonia.

O Terra Madre,
Noi alziamo la bandiera con la stella che ci guida
e cantiamo canzone di libertà con gioia
perchè la giustizia, la libertà e la prosperità
possano regnare per sempre.

O grandi patrioti,
Alziamoci in piedi in silenzio e rispetto
salutiamo i nostri martiri
perchè il loro sangue ha cementato le nostre fondamenta nazionali.
Noi giuriamo di proteggere la nostra nazione.

O Dio, benedici il Sud Sudan.