Padre Zanotelli: "La politica dovrebbe educare all'accoglienza"

Padre Alex Zanotelli, da Trento al Sudan, passando per Verona, l’inferno di  Korogocho e il disagio del rione Sanità. Gli abbiamo spiegato che vorremmo parlare di migrazione, di paura, ma anche di un paese che non si sente razzista e che forse vorrebbe provare ad andare oltre la differenza verso il diverso.
Lui ha sorriso e ha detto «non ci può essere umanità se non al plurale».

In questi giorni negli Usa si riparla di immigrazione e forte è il dissenso della società per la legge varata in Arizona. Cosa ne pensa?
Un paio di anni fa fu discussa una proposta incentrata su come proteggere le frontiere dall’immigrazione, che prevedeva sanzioni per chiunque aiutasse gli immigrati a restare nel paese, equiparando di fatto il clandestino a un criminale. Vi fu una forte reazione sia dell’opinione pubblica sia del mondo delle chiese. L’arcivescovo di Los Angeles, il cardinale Roger Mahony disse che, se il Congresso avesse permesso questa legge, lui avrebbe dato istruzioni ai preti delle sue 288 parrocchie di sfidare la legge apertamente, come disobbedienza civile. E forte è la reazione anche oggi per una legge ingiusta come quella dell’Arizona. Non posso condividere che si autorizzino le forze dell’ordine ad arrestare persone senza motivo, sulla base del semplice sospetto che siano immigrate illegalmente. Alla luce di questi sviluppi politici, ho letto un interessante dossier di
Sojourners, una rivista americana delle chiese, sui problemi dell’immigrazione negli Stati Uniti. Sono 11 milioni i clandestini, prevalentemente latinos, presenti sul territorio americano e l’analisi mette in evidenza il fatto che i problemi sociali degli Usa - quali disoccupazione, povertà, crimini, droga - non sono stati certo causati da loro. Nel nostro paese ritroviamo le stesse cose e purtroppo continuiamo a dare la colpa a chi viene da fuori.

Come valuta le politiche attuate nel nostro paese?
Come persona di chiesa, come missionario comboniano, rimango esterrefatto riguardo alla posizione italiana in tema di migrazione. Il pacchetto sicurezza di Maroni paragona i clandestini ai criminali. È di una gravità estrema anche sotto il piano giuridico oltre che morale. Ad esempio se una donna non ha i documenti e va a partorire in ospedale non può riconoscere il bambino. Il mondo politico sta cavalcando l’onda razzista e sta guadagnando voti. È una scelta pericolosa, abbiamo tanti esempi nella storia e dovremmo ricordarceli perché le tragedie non si ripetano.

E per quanto riguarda i respingimenti?
Ho sempre lavorato in Africa, molta gente arriva perché scappa da situazioni disperate. Scappa da vent’anni di guerra in Somalia, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dal feroce conflitto del Darfur. Scappa perché ci sono guerre, dittature, crimini, discriminazioni. Hanno diritto ad essere considerati rifugiati politici.
La nostra Costituzione consacra il diritto di asilo ed è stata scritta da rifugiati politici rientrati dopo il fascismo. Ma tragicamente questo paese non ha una legge sui rifugiati politici dopo sessant’anni di Repubblica. Ritengo immorale e barbaro respingere gli immigrati, dove li rimandano? In Libia? Sappiamo cosa succede, sappiamo dei diritti umani non rispettati, dei desaparecidos d’Africa, delle prigioni dell’amico Isaias. Non posso e non possiamo accettare le torture. Non posso e non possiamo accettare che non sia verificato se queste persone abbiano diritto a essere accolte come rifugiati.

Padre, lei è stato pochi giorni fa protagonista di una triste vicenda di immigrazione a Napoli? Ci racconta come è andata?
In migliaia arrivano al porto di Brindisi, ad Ancona prevalentemente dal Medio Oriente e dall’Afghanistan e sono respinti. E lo stesso accade a Napoli. Sono arrivati nove immigrati, il porto è stato bloccato per cinque giorni con perdite incredibili a livello economico. Non volevano farli scendere. Poi, dopo lunghe trattative, il 13 aprile sono scesi e sono stati accompagnati in questura e poi all’ufficio immigrazione. Insistevamo sostenendo che alcuni di loro fossero minorenni, ma non ci hanno creduto. Il medico che li ha visitati ha affermato che avevano 18 anni, ma l’esame ha margini di incertezza di un paio d’anni. Eppure nessuno ci ha ascoltato e sono stati portati al Cie di Brindisi. Quando abbiano tentato di fermare il trasferimento, i poliziotti ci hanno spinti via, facendomi cadere a terra. Nulla di grave, ma tanto dolore dentro. È una vergogna che nessuno abbia chiesto a queste persone che cosa abbiano fatto, come abbiano vissuto, di cosa abbiano bisogno. Le leggi ci devono essere e vanno rispettate. Ma le leggi devono avere un minimo di umanità, devono rispettare i diritti internazionali fondamentali.

E per chi è già qui. Cosa facciamo e che cosa dovremmo fare?
Facciamo poco in termini di integrazione. Siamo davanti a una società che diventa sempre più razzista, rifiuta l’altro, soprattutto se musulmano o rom. Spesso si sente dire che il popolo italiano non è mai stato razzista, ma solo se ci si confronta davvero si capisce se lo si è. E ora sappiamo che non è così. Siamo anche razzisti. Ma la società del futuro sarà questa. La globalizzazione non è solo delle merci. Dobbiamo riconoscerlo e comprendere che siamo ricchi della nostra diversità. Se non lo facciamo ci sbraniamo.
La Chiesa, la scuola, la politica devono fare uno sforzo per educare alla mondialità e all’accoglienza.

Il Nord dell’Italia pare essere quello in cui più è radicato il senso di paura verso gli immigrati. Eppure in alcune zone del Nord meno di due generazioni fa molti erano migranti. Perché secondo lei?
Non riesco a spiegarmi cosa possa esserci di così profondo nell’animo umano da riportare a ripetere le stesse cose che ha subito. Ci sono 60 milioni di italiani all’estero, più di quelli in Italia e all’estero abbiamo sofferto. Ricordo quando studiavo negli Usa negli anni 60, ricordo il disprezzo per gli italiani. I nonni di molte persone del Nord Est stavano in Germania, in Svizzera. A Basilea, alla stazione dei treni, c’era una sala d’aspetto interdetta agli italiani. Italiani che puzzano. Come oggi molti dicono degli albanesi, dei rom.
La stessa cosa la chiedo agli ebrei d’Israele che hanno vissuto tante sofferenze e le ripetono verso i palestinesi. La chiedo a chi in Sud Africa ripete le stesse logiche dell’apartheid verso i nuovi immigrati che vengono a cercare lavoro? Come è possibile che ripetiamo la stessa cosa? Non ho risposta. Solo dolore.

7 maggio 2010