I crimini senza fine di Israele: non si tratta solo di insediamenti

di STANLEY COHEN

aljazeera.com

Israele non ha solo commesso atti indicibili di genocidio, ma lo ha fatto con assoluta trasparenza.

La scorsa settimana, l’attenzione del mondo è stata catalizzata da un gesto soprattutto simbolico da parte delle Nazioni Unite, con il quale è stata riscontrata l’illegalità della continua occupazione israeliana della Cisgiordania. Non è forse vero?

Anche se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con insolita uniformità, ha castigato Israele per aversi fatto beffe della legge di occupazione, la risoluzione, partorita con ambigua precisione legale, è oggetto di discussione da parte di pensatori di sinistra con esperienza in materia, in merito al suo significato.

Nella sua più ambiziosa lettura, alcuni sostengono che sembra che il decreto riguardi l’occupazione nel suo complesso, estesa nella sua portata proibitiva a ogni attività di insediamento a partire dal 1967, quando Israele ha sottratto la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, al controllo Arabo-Palestinese.

Altri considerano utile la sua formulazione di consulenza, mediante l’adozione costante della soluzione dei due Stati, ormai logorata dal tempo, e la richiesta apparente di ritornare allo status quo ante una quindicina di anni fa, quando gli insediamenti illegali non avevano ancora inghiottito molto più del 60 per cento della Cisgiordania.

Nel suo quadro poco accattivante sembrerebbe che la risoluzione, in apparenza, conceda de facto agli insediamenti già completati la legittimità e si rivolga solo alla parte di edifici in eccesso, la cui costruzione è attualmente in corso o è in programma per i giorni a venire.

A peggiorare le cose, nonostante i suoi pronunciamenti gratuiti, la risoluzione rimane di gran lunga una dichiarazione poco incisiva, senza qualsivoglia meccanismo di attuazione – fa essenzialmente affidamento a un improvviso squarcio nella coscienza del popolo israeliano, al fine di invertire una marcia costante di indifferenza nei confronti del diritto internazionale, che ha segnato il percorso d’Israele, sin dal primo giorno in cui è stato fabbricato, prendendo la terra rubata in Palestina.

Netanyahu provocatorio

Prevedibile in immediatezza e urgenza, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è infuriato, com’è suo solito ogni settimana, accusando il mondo di un’oscura cospirazione organizzata da colui che presto sarà ex-presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il quale, verso fine mandato, dopo anni di obbedienza ossequiosa alla volontà di Israele, ha improvvisamente scoperto che va bene dire di no … beh … forse sì … o… forse no, alla sua evidente intransigenza.

Ma poi ancora, è alquanto difficile prendere sul serio la “pressione” esercitata da un Paese che ha appena integrato i fondi destinati all’esercito e all’occupazione da parte di Israele, con qualcosa come 38 miliardi di dollari.

Non soddisfatto dell’eco delle sue parole al vetriolo, Netanyahu era appena all’inizio. Successivamente, ha destinato il Senegal – uno dei Paesi più poveri del mondo e promotore della risoluzione – a uno stato di rappresaglia economica. Il suo oltraggio è avere il coraggio di credere alla regola del diritto e di essere ospitato nel palazzo internazionale, che si trova di fronte all’East River a New York City, con le bandiere di 193 nazioni e dello Stato della Palestina.

Netanyahu ha detto al mondo solo ciò che pensa delle Nazioni Unite e della risoluzione, quando ha annunciato l’intenzione di procedere alla costruzione di migliaia di nuove unità abitative, in particolare a Gerusalemme.

“Israele non porge l’altra guancia”, Netanyahu ha proclamato, mentre continuava a profetizzare un “piano d’azione” direttamente contro le Nazioni Unite. Non molto tempo dopo ha sospeso i vincoli di lavoro con Regno Unito, Francia, Russia, Cina, Giappone, Ucraina, Angola, Egitto, Uruguay, Spagna, Senegal e Nuova Zelanda, i Paesi che hanno sostenuto la risoluzione.

Come un signore oscuro

Netanyahu la dovrebbe smettere di pensare a ciò, mentre è in posizione di preminenza, ma non ci riesce. Non vi è alcuna motivazione. Come le centinaia di risoluzioni precedenti, contenenti critiche relative alla linea politica israeliana, come formulata, la più recente condanna da parte delle Nazioni Unite può fare poco più che chiedere a gran voce giustizia nella notte, da parte di uno stato costruito dal midollo del genocidio.

Si diventa “magniloquenti”, “sfacciati” e, a volte, anche “prepotenti”. Tuttavia, sono le bestie a due gambe che si nutrono degli innocenti, ma io no. Netanyahu è molto più di quel tipo di bestia – un orco che vive in un mondo circondato da oscuri pensieri di morte. Con il delirio come alleato, la disonestà come amica e la morte come messaggero, non tiene in nessun conto il mondo, considerandolo regno di terrore di stato che consuma sempre più vittime civili colpevoli di nessun reato, che non sia il respirare l’aria che le circonda e il perseguire una vita libera.

Quando la storia dei nostri tempi sarà scritta, un resoconto onesto aggiungerà, senza dubbio, la malvagia ombra di Netanyahu – e quella dei suoi predecessori – all’elenco degli alleati che hanno considerato il mondo come poco più che un parco giochi all’interno del quale utilizzare i loro giocattoli di morte e disperazione – sempre, ovviamente, per le giuste ragioni e sempre, naturalmente, contro i miti e gli indifesi in mezzo a noi.

“Il totale della somma degli sforzi di Israele, in questi ultimi 68 anni è, a dir poco, l’aver inflitto in modo deliberato ai Palestinesi, come gruppo soggetto alla giurisdizione di un tribunale, le condizioni di vita e di morte tali da comportare la distruzione fisica totale o parziale.”

Nel mondo di Josef Stalin, la carestia indotta è stata l’arma principale prediletta, anche se l’esecuzione di massa e l’esilio lo hanno aiutato a eliminare decine di milioni di persone, che considerava “nemici del popolo”.

Per Henry Kissinger il mondo, in particolare l’Indocina, era pressappoco una partita a scacchi in piccolo. I civili erano semplici pedine, pronti al sacrificio mediante armi hi-tech, compresa la guerra biologica e chimica, per imporre la sua visione del mondo a ogni costo. In milioni hanno perso la vita per la sua scacchiera cervellotica.

Per Pol Pot la lotta era poco più che una purificazione, cancellando per fame, lavoro forzato ed esecuzione un quarto del suo popolo, il cui unico crimine era quello di considerare la vita attraverso un prisma che si è scontrato con il suo – non importa quanto conciliante o restio, nella sua visione, fosse il loro punto di vista.

In Ruanda fino a mezzo milione di donne sono state aggredite sessualmente, mutilate o uccise, insieme a un numero uguale di tutsi maschi, come agenti nemici dello stato Hutu – il machete e lo stupro hanno cagionato l’Aids, in aggiunta alle armi per le quali si ha predilezione.

Genocidio al rallentatore

Questi sono solo alcuni degli estremi di genocidio, quei rari casi in cui ci viene detto di notare per lo più, in caso di omicidio di massa, lo stupro sistematico o la condanna alla fame di un gruppo di persone – il peggio del peggio. Eppure, il genocidio, affinché faccia presa, non ci richiede nei confronti del diritto internazionale un cumulo di corpi nell’immediato o un accesso di rabbia esplosiva di terrore.

Come si è visto in ciò che sembra sempre essere più di un semplice passaggio transitorio, la definizione legale di “genocidio”, emanata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha avuto origine nel 1948, lo stesso anno in cui è nato Israele – il quale da allora ha continuato a diventare sia esperto nella sua applicazione, sia leggendario nella sua negazione.

Nella parte rilevante, ai sensi della Convenzione vigente, per genocidio si intende “qualsiasi dei seguenti atti commessi nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale: (a) uccidendo i membri del gruppo; (b) causando gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo, o (c) infliggendo deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale”. Ognuno di questi tipi di genocidio è stato perpetrato da Israele, apparentemente con vanto quasi fiero, e nessuna responsabilità, per quasi 70 anni ininterrotti.

Non c’è bisogno di basarsi su stupide note storiche, in modo tale da trovare abbondanti, anzi sistematici, atti di sterminio condotti da Israele dal 1948 contro i Palestinesi – un puro e semplice gruppo soggetto alla giurisdizione di un tribunale, con carattere “nazionale, etnico, razziale o religioso”, così come questi termini sono contemplati e generalmente intesi e applicati in base al diritto internazionale.

Cominciando con la sua espulsione di massa, stupri e omicidi, all’inizio della Nakba (la Catastrofe), Israele ha dedicato sé stesso a 68 anni di genocidio non-stop, che aleggia periodicamente nell’aria, in modo tale da riorganizzare o modificare la natura del suo armamento prediletto.

Ciò che era iniziato con l’espulsione, a mano armata, di oltre 700.000 Palestinesi dalla loro patria ancestrale, ha messo in moto una fuga precipitosa di rifugiati che è cresciuta fino a più di sette milioni di sfollati e apolidi, fornendo al mondo più di una vaga idea di quello che sarebbe avvenuto decenni più tardi in Siria.

Violenza senza fine

Nel corso degli anni, Israele ha trovato diversi modi per uccidere più di 400.000 civili Palestinesi e ferirne o paralizzarne da due a tre volte di più, tra cui decine di migliaia di donne e bambini. Con il fuoco dei carri armati, dei razzi o delle bombe a grappolo e al fosforo, è stato dato un nuovo significato al male perpetrato da un gruppo di macellai che agiscono con premeditazione.

Nella sua sete di pulizia etnica degli abitanti rimasti in tutta la Palestina è stato fatto uso della condanna alla fame, che mira ai prodotti alimentari, ai raccolti e al bestiame, in violazione del Primo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, come metodo di guerra in tutti i territori occupati.

In particolare, ha distrutto più di un milione di alberi di ulivo che non solo sono sostegno essenziale della cultura palestinese, ma, insieme a centinaia di migliaia di alberi da frutto rasi al suolo, costituiscono i prodotti chiave dell’economia nazionale palestinese, in gran parte già in rovina.

A Gaza, Israele ha preso di mira gli ospedali, le scuole, gli asili, i complessi condominiali, i rifugi del UN Relief and Works Agency (n.d.T. Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione – UNRWA) e le cliniche di salute mentale, con una competenza di morte che avrebbe fatto arrossire d’invidia i criminali storici di guerra.

Ha devastato migliaia di case costruite con fatica e ha lasciato sottosopra centinaia di migliaia di Palestinesi sfollati interni, anzi senza casa – lasciando molte famiglie al limite della sopportazione.

Ai sopravvissuti dei campi di sterminio di Gaza, Israele ha reso la vita insopportabile negli ultimi dieci anni, pure con l’aggiunta di un embargo criminale che non solo non garantisce un apporto calorico sufficiente, l’acqua potabile e le medicine, ma nega ai suoi 1.8 milioni di sopravvissuti i materiali essenziali per la ricostruzione della sua infrastruttura assediata, e in gran parte rasa al suolo.

Non soddisfatto del dolore fisico, con crudele e sfrenato entusiasmo, non è un dato di fatto che si riscontra nel suo piano che ha consapevolmente indotto livelli di disturbo da stress post-traumatico, senza eguali in nessun’altra parte del mondo.

Dati tutti questi elementi tangibili di pulizia etnica, si prevede che, ragionevolmente, Gaza sarà inabitabile entro il 2020 così, ancora una volta, diversi milioni di rifugiati traumatizzati saranno condotti sulla strada di una diaspora incerta e pericolosa.

Per descrivere la strategia di Israele riguardante Gaza, come null’altro che destinata a causare “gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo”, vi è la negazione proprio di un’orgia punitiva, pubblica e sistematica inflitta ai civili Palestinesi sulla base della identità di gruppo e funzionale – e niente di più.

In Cisgiordania, il calcolo di Israele in merito al dolore e alla pena è in gran parte una differenza senza distinzione: esso varia per quanto riguarda la forma, ma non per l’intento o per lo scopo finale.

Non soddisfatto dei 531 villaggi e località che si sono spopolati e completamente sradicati durante i primi giorni della Nakba, dal 1967 Israele ha rubato, reinsediato e annesso quasi tutta la Cisgiordania, compresa gran parte di Gerusalemme Est, in palese violazione dell’articolo 4 delle Convenzioni di Ginevra (n.d.T. le quattro Convenzioni adottate il 12 agosto 1949) che proibiscono a una forza di occupazione di fare niente più che erigere basi limitate alle proprie esigenze di sicurezza in terra occupata.

Nel corso di questa appropriazione criminale di terreno è stata approvata, in effetti sovvenzionata, la costruzione illegale di alloggi per circa 800.000 abitanti – in gran parte immigrati – coloni, allo stesso tempo ha distrutto quasi 50.000 strutture palestinesi, in gran parte case, molte delle quali di secoli fa, rendendo senzatetto decine di migliaia di abitanti indigeni, spesso indigenti o dipendenti dalla generosità delle abitazioni già sovraffollate di famiglia o di amici.

Irresponsabile come sempre

Nessuno di questi fatti riguardanti la storia sordida di morte di Israele può essere liquidato come prodotto di una mera iperbole o di un sentito dire non supportato.

Le dichiarazioni di genocidio israeliano sono state dimostrate di volta in volta da una serie di organizzazioni e ONG indipendenti per i diritti umani, senza avere un interesse personale, e comprendono i risultati di gruppi rispettati dall’interno dello stesso Israele.

In realtà, dal suo piedistallo di superbia, Israele non ha solo commesso atti indicibili di genocidio, ma lo ha fatto con assoluta trasparenza, come per dire al resto del mondo: lo abbiamo fatto, e siamo ben oltre la portata del diritto internazionale.

Non si facciano errori al riguardo, il totale della somma degli sforzi di Israele, in questi ultimi 68 anni è, a dir poco, l’aver inflitto in modo deliberato ai Palestinesi, come gruppo soggetto alla giurisdizione di un tribunale, le condizioni di vita e di morte tali da comportare la distruzione fisica totale o parziale.”

In presenza di prove schiaccianti del genocidio premeditato di Israele, sostenere il contrario è ridurre le azioni oscure, malvagie e sistematiche di Stalin, Kissinger, Pol Pot e dello stato Hutu a poco più di un insieme di casualità fraintese.

Sì, Signor Primo Ministro, la dovrebbe smettere di pensare a ciò, mentre è in posizione di preminenza. Oggi Israele è accusato di violazioni della legge di occupazione. Un domani, la sua presenza sarebbe caldamente richiesta, anzi dovrebbe sedersi al banco degli imputati per il giudizio internazionale, ben meritato, sotto processo per genocidio.

Stanley L. Cohen è un avvocato e attivista per i diritti umani, che ha realizzato un ampio lavoro in Medio Oriente e in Africa.

Fonte: www.aljazeera.com

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