Lettera della Rete di Quarrata – marzo 2019

Carissima, carissimo,

sappiamo già che oggi la solidarietà è in crisi. Parlare di crisi della solidarietà potrà sembrare un luogo comune, ma si tratta di una verità forte che, da un lato o dall’altro, colpisce tutti noi: quelli che dovrebbero esprimere solidarietà e quelli che hanno bisogno di riceverla. O, meglio, tutti noi che abbiamo bisogno di riceverla e di darla, perché la solidarietà è un mistero di reciprocità fraterna ineludibile.

Segni di questa crisi non mancano certo. Mi riferisco soprattutto alla solidarietà con l’America Latina. Delle migliaia di comitati di solidarietà che si sono avuti, in tutto il mondo, sono scomparsi i cosiddetti comitati “politici”, mentre rimangono quelli “cristiani”. Per rispetto della verità è giusto riconoscere, riguardo ai primi, che alcuni si sono uniti ad altri organismi più universali di solidarietà.

Cominciare con questa constatazione della crisi della solidarietà non è negativismo. Si tratta, in ultima istanza, di una crisi di crescita. Sempre che si ricordi e si assuma responsabilmente ciò che di fatto è la solidarietà alla luce della fede.

La solidarietà è una forma piena della carità da sempre ma con un’esperienza critica, storica, politica, geopolitica, di spiritualità integrale. La solidarietà è la carità potenziata dall’opzione per i poveri. La stessa crisi che l’opzione per i poveri sta attraversando nel cuore di tanti e in tanti settori della Chiesa la sta passando logicamente la solidarietà.

L’opzione per i poveri è entrata nella sua notte oscura. Molti si stanno domandando “cosa resti dell’opzione per i poveri”. Intesa come opzione per le Cause dei poveri, e non solamente per le loro sofferenze o la loro emarginazione. I motivi di questa maggiore crisi dell’opzione per i poveri e, di conseguenza, della solidarietà nei loro confronti, sono molti e clamorosi.

Il crac dell’Est europeo e la caduta del socialismo reale. Il fallimento di alcune rivoluzioni popolari. Il presunto trionfo del nuovo impero del neoliberismo e l’egemonia totale del mercato.

Il fatto che non si “veda” un progetto storico dei poveri, alternativo, che sia praticabile in questo periodo globalizzato della politica, dell’economia e della finanza.

Oggi l’opzione per i poveri deve essere fatta più controcorrente, senza l’appoggio sensibile di un organigramma, senza la forza manovrabile di una speranza meccanicista che le dia una credibilità in termini di fattibilità storica prossima. L’opzione per i poveri e per le loro Cause, in questo momento buio, deve essere fatta a partire dai Movimenti popolari che papa Francesco ha convocato per tre volte -non ha convocato i Capi di Stato, perché incapaci di dare agli impoveriti: Casa, Terra e Lavoro, che lui ha chiamato le tre T fondamentali per uno sviluppo umano dignitoso- li ha convocati nel soffio della fede e al vento dell’utopia.

Parlando in termini cristiani, questa non è una novità, ma la verità di sempre. La nostra “speranza contro ogni speranza” è una speranza contro ogni apparenza, la fede contro ogni evidenza, l’amore contro ogni impossibilità. Ossia, l’opzione per i poveri e la solidarietà nei loro confronti deve essere oggi più che mai politica.

La postmodernità, che in certa misura è la stanchezza della modernità o la sua autodisillusione, proclama la rinuncia alle “grandi narrazioni” e il sonnambulismo delle “Grandi Cause”, perché le vede impraticabili o inutili, e perché opta sistematicamente per il pragmatismo palpabile e per il consumismo quotidiano che gli danno la garanzia del voto.

Infine c’è il momento psicologico –la convergenza di tutti questi fattori- è frutto di esaurimento o depressione, di una stanchezza da fine giornata, di un’allergia a ciò che tanto ci ha fatto soffrire e per cui tanti compagni e compagne di strada hanno dato tutto, compresa la vita. Anche di disillusione, perché molti, ugualmente compagni, ci hanno deluso. Passato il vento forte delle bandiere da innalzare, sono tanti quelli che si sono assestati al ritmo dell’opportunismo o delle sicurezze.

Oggi, parlare di analisi sociale, di congiuntura sociopolitica, di critica razionale, di valutazione etica, di giudizio teologico, al di là della prepotenza e dell’evidenza del sistema, appare come uno di quei “linguaggi duri” che attribuivano a Gesù di Nazareth quanti non erano molto decisi a seguirlo radicalmente.

Le lotte dei Mapuche in Cile, dei contadini, degli indigeni e dei nuovi impoveriti in Brasile dal governo Bolsonaro, le sofferenze del Centro America e dell’area Caraibica, i nuovi governi di destra che stanno impoverendo il Cono Sud dell’America latina, i popoli che fuggono dall’Africa da noi depauperata cosa ci chiedono oggi?

Se prendiamo il denaro come Dio, l’economia come religione, il profitto come speranza, cercando di produrre sempre di più, moriremo tutti.

Il poco che possiamo fare lo dobbiamo fare. La lotta non finisce mai. Si tratta di costruire un mondo in cui tutti esistono per l’altro. La piccola parabola del fico sterile ci dice l’infinita pazienza di Dio. Ci darà il tempo necessario per tornare da lui e per essere dato agli altri. Il futuro è per la solidarietà.

Per tutto questo è importante, urgente, fondamentale, continuare attraverso l’autotassazione-restituzione sostenere i progetti che come Rete sosteniamo, in modo da far si che gli impoveriti siano loro azione di cambiamento. Buona solidarietà,

Antonio

 

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.