Macron in Libano: vecchi e nuovi colonialismi – di Angelo Baracca

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Macron è in Libano non certo per il bene del Paese ma per per rinnovare il tradizionale colonialismo francese, come già fa in Africa. Da anni suggerisco che per capire il Medio Oriente è fondamentale il libro di Filippo Gaja, «Le frontiere maledette del Medio Oriente», Maquis Edizioni, 1991, ovviamente esaurito ma l’ho trovato (e acquistato in internet) nel 2017.

Dopo un’accurata lettura, au Pressenza ne feci una sintesi a portata di tutti, con qualche aggiornamento: www.pressenza.com/it/2017/11/capire-medio-oriente-la-gran-bretagna-creo-caos/

Capire il Medio Oriente: quando la Gran Bretagna creò il caos [… e la Francia socia in affari!]

Durante la prima guerra mondiale il Libano è ancora sotto il controllo militare dei Turchi, ma in seguito alla vittoria degli Alleati, nel 1918, il suo territorio diventa nei fatti una colonia francese.

Come la maggior parte dei Paesi del Medioriente anche il Libano attuale è infatti un prodotto delle potenze coloniali che, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, crearono degli Stati Nazionali, usando più i righelli e le carte geografiche che il raziocinio.

Scopo della Francia è quello di creare, in seno al mondo arabo musulmano, uno Stato a netta maggioranza cristiana nel quale i maroniti (una setta cristiana d’oriente legata alla Chiesa di Roma, fondata da San Marone nel sesto secolo) avrebbero dovuto essere maggioritari. Scelta politica sbagliata dal momento che il Libano era già allora, più che un Paese, un crogiolo di comunità religiose formato in gran parte da perseguitati, fuggiti dai Paesi vicini.

Durante la II guerra mondiale la Siria e il Libano si ribellarono alla dominazione della Francia. Vennero occupati, dopo la sconfitta della Francia, dal governo di Vichy, poi invasi con un sanguinoso intervento militare dalla Gran Bretagna, che sostituì la dominazione francese.

Dopo la seconda guerra mondiale, il Libano ottiene la sua completa indipendenza, diventando in breve tempo un importante centro commerciale e finanziario. E’ in questa fase che nasce l’errore fatale: i francesi lasciano il potere nelle mani dei cristiani maroniti, sostanzialmente conservatori, fingendo di ignorare che la stragrande maggioranza della popolazione è araba di religione musulmana. Il Libano diventa così una Repubblica basata sul confessionalismo, ossia su un assetto istituzionale in cui l’appartenenza religiosa di ogni singolo cittadino diventa il principio ordinatore della rappresentanza politica e il cardine del sistema giuridico.

QUI SOTTO COMUNQUE TROVATE IL TESTO COMPLETO

Non è certo da oggi che in Medio Oriente (MO) sta per esplodere (o è in atto) un gravissimo conflitto, che rischierebbe di innescare la terza guerra mondiale. Non è facile orientarsi tra le molteplici tensioni, anche perché esse vengono create e alimentate ad arte dai soggetti e dagli interessi in gioco: il tutto ovviamente alle spalle, anzi sulla pelle delle popolazioni. D’altra parte è molto scarsa presso di noi la conoscenza di quali sono quei popoli, i loro costumi, le loro credenze (lo “scontro fra civiltà” fu un’invenzione ad hoc per oscurare i termini reali): e soprattutto come e quando è nato l’intero problema del MO. La storia la via maestra per comprendere il mondo attuale: la perdita della memoria è la causa principale dei mali succedutisi nella storia.

Io non sono certo uno conoscitore o uno storico del MO, ma segnalo un libro di qualche anno fa che traccia un quadro estremamente limpido e chiarificatore: Filippo Gaja, “Le Frontiere Maledette del Medio Oriente”, Maquis Edizioni, 1991 (nel seguito FG) [1]. Le potenze occidentali (in primis la Gran Bretagna) hanno creato artificiosamente nell’ultimo paio di secoli – in un delirio imperialistico, per i propri interessi di brutale sfruttamento coloniale, calpestando le popolazioni che da sempre vi abitavano – i problemi che si sono incancreniti e sono diventati insolubili! Questa sintesi sarà per forza di cose ridotta all’osso (e con brutali schematismi, dei quali mi scuso), ma spero possa fornire utili spunti di conoscenza e di riflessione, e il desiderio di approfondire.

Tutto ebbe inizio in Arabia

Fino alla Prima Guerra Mondiale tutto il MO faceva parte dell’Impero Ottomano, il quale però non aveva il controllo effettivo di molte regioni (come il deserto della penisola arabica, denso però di vicende cruciali).

La Gran Bretagna (GB) dalla metà del Settecento aveva soppiantato l’Olanda e la Francia nei commerci con l’India: senza il cui sfruttamento non avrebbe sviluppato la Prima Rivoluzione Industriale, che le consentì il predominio in Europa (e nel mondo fino alla Seconda Guerra Mondiale).

La prima regione del MO in cui la GB penetrò fu la penisola arabica. Qui era sorta verso la metà del Settecento la dottrina religiosa del wahhabismo [2] e si era legata con la dinastia dei Saud, che con Abdul Aziz Ibn Saud “il Grande” estese nel 1773 il dominio su una larga parte della penisola, con centro nella capitale Riyad, e adottò il wahhabisno come ideologia, ancora oggi fondamento dell’Arabia Saudita.

All’inizio dell’Ottocento la Gran Bretagna intervenne militarmente nella zona del Golfo Persico, eliminando la pirateria che comprometteva i suoi commerci e imponendo agli sceicchi la sua autorità permanente nel Golfo (che perdurò fino alla decolonizzazione e il ritiro britannico dal Golfo nel 1971).

Qui è opportuna una premessa. È importante considerare che almeno fino a tutto l’Ottocento le idee di “frontiera” o “confine” erano praticamente sconosciute in MO: vi erano popolazioni nomadi, e costanti guerre tra sceicchi locali, e anche la “sovranità” dipendeva dalla forza delle famiglie dominanti.

Un’altra famiglia importante fu quella degli Al Sabah, che verso la metà del Settecento si insediò nel Kuwait: questo porto circondato dal deserto assunse un ruolo fondamentale (che ha mantenuto fino ad oggi) quando la Compagnia Inglese delle Indie ne fece il punto di traffico terrestre del commercio verso l’Europa. Con una vicenda intricata, nel 1899 la GB impose agli Al Sabah (formalmente sudditi dell’Impero Ottomano) un trattato segreto (lo rimase fino al 1967!) che imponeva il controllo britannico esclusivo, un protettorato di fatto, sul territorio del Kuwait: piccolissimo ma strategico (e non vi si era ancora scoperto il petrolio!). Come scriveva sir Arthur Godley, sottosegretario permanente in India, a lord Curzon “… noi non vogliamo il Kuwait, ma non possiamo permettere che qualcun altro lo abbia”.

Dell’accordo segreto si giovarono anche i Saud – il cui dominio nel 1818 era stato debellato dall’esercito turco – per ristabilire il proprio dominio sull’Arabia centro-orientale (vedi la mappa 1), resuscitando in wahhabismo (vedremo il ruolo contrapposto dello sceriffo della Mecca).

Tutto cambia con l’esplosione del colonialismo: l’invenzione della “legalità”

Dalla metà dell’Ottocento lo sviluppo del colonialismo con la sua logica di saccheggio e rapina cambiò radicalmente le cose, non solo in MO ma in tutto il mondo. La furiosa competizione tra le potenze europee fece sorgere il problema di stabilizzare le conquiste dei singoli Stati stabilendo le basi della “legalità” (coloniale) del possesso dei territori. Un concetto del tutto strumentale di “legalità” che ha dato fondamento giuridico formale alla predazione e alla presa di possesso delle terre dei popoli che vi vivevano da secoli, considerandole terre “di nessuno”: il razzismo ha radici profonde nella nostra “civiltà”, perché i popoli non europei sono stati considerati appunto non solo “incivili”, ma “nessuno”, meno che razze inferiori [3]. Così avvenne per esempio la spartizione dell’Africa. Così in America Latina i latifondisti (Benetton per fare un esempio) pretendono la validità di titoli di proprietà su terre che erano abitate da sempre dalle popolazioni indigene. Questa logica di conquista doveva portare alla Prima Guerra mondiale, che fu una guerra fra imperialismi rivali per la redistribuzione degli imperi coloniali.

In questo contesto comparve alla fine dell’Ottocento il petrolio. Nel 1897 John Rockefeller unificò con metodi di guerra commerciale non ortodossa le migliaia di piccole compagnie della Pennsylvania fondando la Standard Oil of New Jersey, che divenne l’emblema della potenza petrolifera americana.

Prodromi della Prima Guerra mondiale, contesa senza esclusione di colpi per il petrolio

La lotta per il controllo del petrolio divenne spasmodica all’inizio del Novecento, rendendo sempre più inevitabile un conflitto mondiale. Di fronte alla crescente potenza militare dell’Impero tedesco, che varò la costruzione di una poderosa flotta azionata con il carbone di cui la Germania era ricca, la GB reagì, ed uno dei mezzi fu la conversione della propulsione navale al petrolio, molto più efficiente. Il petrolio divenne una risorsa vitale, e si sviluppò una lotta senza quartiere per il suo controllo.

Da un lato si sviluppò una vera guerra finanziaria, con la quale la GB si assicurò il controllo della Anglo-Persian Oil Company, e con essa sul petrolio iraniano e iracheno: gli Stati possono sparire o perdere i loro diritti, le compagnie privare restano. La Germania era sospinta in un angolo.

La GB impostò in vista della guerra uno spregiudicato doppio gioco nei confronti degli arabi, per assicurarsi l’appoggio nella guerra imminente contro la Turchia di capi con interessi contrapposti, fornendo a tutti garanzie per concessioni e diritti successivi al conflitto. Come si è detto, i Saud dominavano sull’Arabia centro orientale con capitale Riyad, mentre alla Mecca, vicina alla costa del Mar Rosso, governava lo sceriffo Hussein. La regione che appariva strategica per le operazioni militari era la fascia dalla costa araba del Mar Rosso, alla Palestina, alla Siria. La GB (non senza contraddizioni interne agli stessi organi decisionali britannici) da un lato fece giungere allo sceriffo Hussein un messaggio segreto promettendogli in cambio del suo impegno militare contro la Turchia la formazione di un grande Stato arabo, mentre al tempo stesso assumeva impegni altrettanto segreti con Ibn Saud.

Doppio gioco spudorato della Gran Bretagna sulla pelle degli arabi

Così nel giugno 1915 Hussein proclamò dalla Mecca la rivolta araba al fianco degli inglesi: il figlio Feysal comandò l’esercito, consigliato militarmente dal colonnello britannico Lawrence (detto Lawrence d’Arabia). Gli inglesi lesinarono i mezzi forniti agli arabi, perché non volevano trovarsi una nuova potenza araba una volta sconfitti i turchi. Nel 1918 l’esercito arabo entrò a Damasco prima degli inglesi.

Nel frattempo GB e Francia avviarono alle spalle degli arabi trattative segrete fra loro per decidere la spartizione del MO dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano: con vari tiremmolla (che puntavano al controllo dei pozzi petroliferi) i negoziatori Sykes e Picot arrivarono nel 1917 all’accordo. Con delicate manovre venne anche garantita la regione nord-orientale alla Russia zarista, svendendo anche la prospettiva di uno stato per il popolo armeno (che all’inizio del conflitto nel 1915 aveva subito lo spaventoso genocidio da parte della Turchia, sul quale qui è impossibile dilungarsi).

Come non bastasse gli inglesi giocarono in modo cinico la carta sionista, ancora sulla pelle degli arabi. Dalla fine dell’Ottocento Teodoro Herzl aveva posto l’obiettivo della creazione in Palestina (abitata da circa 600.000 arabi a fronte di 25.000 ebrei) di una sede nazionale per il popolo ebraico, presentandola come un baluardo dell’Occidente contro l’Asia, con una concezione di espropriazione e di espulsione e asservimento degli arabi. Con la “Dichiarazione Balfour ”[4] del 1917 “Il governo di Sua Maestà considera favorevolmente l’insediamento di un focolare nazionale in Palestina per gli ebrei”.

A guastare i calcoli irruppe l’imprevista e indesiderata Rivoluzione Bolscevica, che determinò il ritiro della Russia dal conflitto con la pace separata di Brest-Litowsk, marzo 1918 (gli accordi Sykes-Picot vennero allo scoperto perché una copia fu trovata negli archivi del ministero degli Esteri russo).

La definizione della spartizione manu militari dopo la guerra

Dopo la fine del conflitto accordi di spartizione furono difficilmente applicabili, soprattutto per il controllo del petrolio (guastarono la festa anche gli Stati Uniti, che dopo l’intervento nella guerra reclamavano la loro parte), e si aprirono travagliate trattative. Le brutali spartizioni crearono i problemi drammatici che ancora segnano il mondo! Gli interessi delle potenze vincitrici si imposero anche nei Balcani, dove non si esitò a spostare confini e a ridefinire appartenenze statuali senza tenere in nessun conto la composizione etnica dei singoli territori che passarono da uno Stato all’altro.

In MO i popoli curdo e armeno vennero cinicamente sacrificati. La Francia ottenne il protettorato della regione siriana che, per mettere sotto controllo le conflittualità spezzò in 5 diversi Stati: Feysal, che aveva occupato Damasco nel 1918 con la promessa di uno stato arabo, e la popolazione siriana non accettarono il passaggio a un nuovo controllo straniero e si ribellarono: un corpo di spedizione francese occupò Damasco nel 1920 cacciando senza tanti complimenti Feysal, che fidando negli inglesi si era già proclamato “re degli arabi”.

Gli inglesi lasciarono la Siria e si ritirarono in Iraq e Palestina. In Iraq essi proseguirono anche dopo la firma dell’armistizio con la Turchia l’offensiva militare per occupare i campi petroliferi di Mossul. L’occupazione dell’Iraq incontrò una fiera opposizione popolare degli arabi (“rivoluzione del 1920” indipendentista), analogamente ai francesi in Siria, che furono violentemente repressi, gli scontri durarono mesi: il nazionalismo arabo si era irrimediabilmente sviluppato e non poteva più essere frenato, e fu alimentato dai soprusi degli europei.

Così nel 1921 gli inglesi crearono in Iraq un apparato statale formale, riciclando come sovrano e dando così un contentino a quel Feysal che i francesi avevano espulso in malo modo da Damasco, e imponendo un trattato di sostanziale dipendenza: fu il primo di una serie di trattati che rispondevano sempre al fine di gestire una dipendenza neanche tanto mascherata. Si tenga presente che il paese era composto da Kurdi, Turkmeni, musulmani sciiti e sunniti. Nel 1925 gli inglesi imposero segretamente la concessione per 75 anni dei diritti sul petrolio iracheno alla Turkish Petroleun Company, controllata dalla GB [5], che si trasformò in British Petroleun Company. La GB ottenne profitti favolosi. Risolto il controllo del petrolio, furono definite, artificialmente, le frontiere.

Nel 1927 vennero organizzate delle esplorazioni petrolifere su larga scala. Nella provincia di Mossul vennero scoperti due importanti giacimenti. Due anni dopo venne fondata la Iraqi Petroleum Co., dalla collaborazione tra l’Anglo-Iranian Petroleum (oggi BP), la Shell, la Mobil e la Standard OU di New Jersey (oggi Exxon).

Gli errori degli inglesi in Iraq e dei francesi in Siria produssero danni irreparabili nel futuro del MO.

In Transgiordania la GB divise artificialmente la regione in Palestina e in uno Stato inventato, chiamato appunto Transgiordania (che diventò più tardi la Giordania), a cui venne messo a capo un figlio Hussein fratello di Feysal, Abdallah, dando origine alla dinastia hashemita (discendente di Maometto).

Sulla Palestina la GB impose un protettorato, di fatto un’occupazione militare, e praticò una sistematica politica di impoverimento e vessazione della popolazione araba. Nel 1936 esplose la grande rivolta araba, che si protrasse fino al 1939 e fu l’atto di nascita del nazionalismo palestinese [6].

Si definì anche, con metodi autoritari e violenti, lo status dell’Arabia Saudita, del Kuwiat e dell’Iraq. Per un verso gli inglesi lasciarono quasi mano libera a Ibn Saud nelle sue guerre di annessione sull’intera penisola arabica (il petrolio arabico fu scoperto solo nel 1933!), v. mappa 1 (sconfiggendo Hussain – il quale si era rifiutato di ratificare la Pace di Versailles, che aveva tradito la promessa pre-bellica di uno stato arabo – e conquistando la Mecca) e nella proclamazione nel 1932 del regno dell’Arabia Saudita, cioè Arabia dei Saud: che si fondò sul wahabismo radicale come religione di stato2.

Il Kuwait giocò un ruolo strategico. A guerra finita divenne oggetto delle mire espansioniste di Ibn Saud, ma questo la GB non poteva permetterlo: nel 1922 lo stoppò manu militari e impose la propria volontà imperiale, assicurandosi il controllo sul Kuwait ma approfittando al tempo stesso per indebolire l’irrequieto Iraq, privandolo di uno sbocco al mare (conosciamo bene le conseguenze drammatiche di questa imposizione, fino alla Guerra del Golfo del 1991).

Ingiustizia era fatta!

Intanto in Iraq il sentimento anti-britannico della popolazione si fece sempre più forte, e nel 1930 la GB fu costretta finalmente a riconoscere la piena indipendenza del paese. Nel 1933 alla morte del re Feysal il successore Ghazi I rovesciò l’atteggiamento filo-britannico del padre, e cominciò a chiedere l’annessione all’Irak del Kuwait: dove peraltro il pur ristrettissimo “consiglio” che l’emiro dovette concedere (poi revocandolo) richiese per ben due volte l’unione con l’Iraq, sostenuto dalla popolazione.

Nel 1938 venne scoperto il petrolio in Kuwait, ma rimase non sfruttato per diversi anni sia per lo scoppio della IIa Guerra mondiale sia per la resistenza degli inglesi, i quali non volevano far concorrenza al loro petrolio iracheno e persiano. Ma il Kuwait divenne sempre più strategico!

Seconda guerra mondiale ed esplosione del nazionalismo arabo

Anche se la IIa Guerra Mondiale non investì direttamente il MO (perché i nazisti furono sconfitti in Russia – dove l’offensiva a sud puntava al petrolio del Caucaso – e fermati in Africa e nei Balcani, dove preparavano l’attacco alla Turchia) esplose nella regione il movimento nazionalista, con una fortissima caratterizzazione anti-britannica. È impossibile riassumere in poche righe gli interventi militari, spesso sanguinosi: l’intervento in Egitto (formalmente regno indipendente dal 1922) violentò la sua neutralità dichiarata, l’obiettivo principale era il controllo del Canale di Suez; in Iraq fu stroncata nel sangue una ribellione del debole esercito nel 1941, e fu imposto l’allineamento con la GB durante il conflitto, reprimendo le violente agitazioni successive.

l’Iran era uno Stato indipendente sotto lo Scià, che si dichiarò neutrale, ma venendo ad assumere un ruolo strategico fu occupato interamente da truppe anglo-sovietiche nel 1941: dopo l’intervento degli Usa nella guerra (successivo all’attacco giapponese a Pearl Harbour[7], 7 dicembre 1941) l’Iran divenne la via di transito per il materiale bellico trasferito dagli americani all’Urss: l’occupazione dell’Iran divenne anglo-sovietica-statunitense. la Siria e il Libano si ribellarono alla dominazione della Francia, vennero occupati, dopo la sconfitta della Francia, dal governo di Vichi, poi invasi con un sanguinoso intervento militare dalla GB, che sostituì la dominazione francese.

Contese territoriali inesauribili, fra Stati ”inventati”, con al centro l’oro nero

Dopo la fine della guerra si esasperarono, oltre all’insofferenza delle popolazioni, rivendicazioni territoriali tra gli Stati “inventati” (la più recente delle quali è stata, per ora, quella dell’Iraq sul Kuwait che portò alla Guerra del Golfo del 1990-91), aggravate dalla competizione senza quartiere fra le compagnie petrolifere (e pertanto fra la GB e gli Usa).

Per dare un’idea concreta della natura dei complessi contenziosi fornirò succinte informazioni su due di essi, anche qui con sintetici dettagli, rinviando per ulteriori approfondimenti al libro fondamentale di Filippo Gaja (anche in Internet è difficile trovare informazioni). Ripeto che prima della scoperta del petrolio nessuno aveva sentito il bisogno di tracciare confini precisi nei vari emirati della zona del Golfo, i quali si contendevano la sovranità su diverse zone.

1 – Abu Dhabi. Il primo conflitto riguardò l’oasi di Al-Buraimi situata oggi in Oman, in prossimità dello Stretto di Hormuz sul Golfo Persico (mappa 3), sotto controllo britannico ma di importanza secondaria prima della scoperta del petrolio. Fu rivendicata sia dall’Arabia Saudita sia dall’Emirato di Abu Dhabi. Nel 1952 l’oasi, che si supponeva ricca di petrolio che vi verrà effettivamente scoperto nel 1958, fu occupata dalle truppe saudite. Nel 1955 la Gran Bretagna portò la questione davanti a una corte arbitrale e alla fine dell’anno formazioni militari di Abu Dhabi, guidate da ufficiali inglesi, cacciarono le truppe saudite da Buraimi. I confini sono rimasti quelli imposti dall’intervento militare britannico.

2 – Bahrein. Già prima della guerra si era sviluppata la contesa sul Bahrein, un arcipelago al largo della costa saudita, che era allora un protettorato britannico e un’appendice dell’impero Indiano (la sua moneta legale era infatti la rupia), ma su cui rivendicava diritti anche lo scià di Persia (Iran). Nel 1932 vi fu scoperto il petrolio. La statunitense Anglo-Persian Oil in quel momento di petrolio ne aveva a sazietà in Persia e in Iraq e non era troppo interessata al Bahrein. Altrettanto disinteressate si mostrarono la Exxon e la Gulf. Così nel 1933 entrò in scena la Standard Oil of California (Socal), che ottenne una vastissima concessione dall’Arabia Saudita, poiché il re saudita aveva bisogno di oro sonante: lo stabilirsi nell’Arabia Saudita di una Compagnia esclusivamente americana era destinato a mutare l’intero equilibrio politico in tutto il MO. Quando le trivellazioni cominciarono a dare i loro frutti nel Bahrein, la Socal, dalla sua posizione isolata, si trovò a corto sia di capitali sia di mercati di sbocco, saldamente in mano alla Exxon: con unioni sulle quali non possiamo dilungarci (intricatissime!), nel 1935 nacque l’Aramco (Arabian American Oil Company) e tre anni dopo dai favolosi campi petroliferi arabi cominciò a sgorgare il primo petrolio. La concessione messa a disposizione dal re saudita aveva una superficie come quella del Texas, della Louisiana, dell’Oklahoma e del Nuovo Messico messi insieme. La GB ovviamente non mandò giù la faccenda. I governi di Londra e Washington escogitarono una soluzione macchinosa, che comunque sancì l’ingresso degli Usa nel paradiso petrolifero del Bahrein: la Standard Oil of California, con capitare al 100% americano, registrò una sua filiale in Canada (allora territorio inglese) e perciò ebbe nazionalità britannica!

Lo Stato di Israele e la tragedia palestinese

Per la questione palestinese la conseguenza più importante della IIa Guerra Mondiale fu che l’appoggio all’operazione sionista passò dagli inglesi agli americani, i quali puntarono a costituire un baluardo strategico in una regione (resa) così instabile: un baluardo tuttora intoccabile!

Basti qui ricordare che negli anni Trenta i sionisti svilupparono una campagna di terrorismo verso gli inglesi (pochi coloni ebrei venivano dalla GB) che assunse le caratteristiche di una vera guerra di logoramento: sabotaggi, attentati dinamitardi, rapimenti di militari, ecc. D’altronde la GB vacillava in tutto il suo impero, in quel periodo si ritirò dalla Birmania e dall’India.

La formazione dello Stato di Israele nel 1948 rientra quindi pienamente nella strategia di rapina attuata in MO, ma riassumere questa drammatica vicenda in modo schematico non potrebbe rendere giustizia di quello che è avvenuto e dei crimini verso il popolo palestinese: abbonda ormai la letteratura su tutta questa storia e la situazione attuale.

Anni Cinquanta: tramonta la (pre-)potenza britannica, ma lascia il MO in frantumi

Gli anni Cinquanta cambiarono profondamente la situazione in MO e incrinarono la dominazione britannica e il controllo statunitense: il nazionalismo arabo divenne incontenibile e costrinse le due potenze a cambiare strategia, trovando ovviamente altre forme per esercitare il controllo e il dominio. Ma il caos creato in primo luogo dalla GB aveva creato guasti e contraddizioni profondi.

Mi limiterò a citare solo alcuni fatti essenziali.

In Iran, dove regnava lo scià Reza Pahlavi, nel 1951 un governo di coalizione di tutti i gruppi nazionalisti capeggiato da Muhammad Mossadeq approvò la nazionalizzazione della Compagnia anglo-iraniana del petrolio. Si aprì così un lungo contenzioso internazionale. Nell’aprile 1952 Mossadeq si dimise, ma un’ondata di manifestazioni popolari in suo favore costrinse lo scià a rinnovargli l’incarico e a concedergli poteri eccezionali. Si arrivò alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Londra e Teheran. Lo scià, contrario all’intransigenza di Mossadeq, lo rimosse dalla carica, ma Mossadeq rifiutò di dimettersi e i suoi sostenitori diedero vita a violente manifestazioni, che costrinsero lo scià a rifugiarsi a Roma. Nel 1953 la Cia organizzò un colpo di stato per deporre Mossadeq, sobillando anche in vari modi la popolazione [8]: Mossadeq e alcuni suoi collaboratori vennero arrestati, processati e condannati, lo scià tornò in patria. Gli Usa appoggiano il nuovo corso con un prestito di emergenza di oltre 45 milioni di dollari. L’affare Mossadeq rese evidente che la GB era ormai incapace di controllare da sola il MO.

Intanto, nel 1952 in Egitto vi fu la rivoluzione dei “liberi Ufficiali”, che rovesciò re Faruk e proclamò la repubblica. Il (generale) presidente Abdel Nasser sviluppò una politica anti-israeliana e anti-occidentale, che nel 1956 culminò con la nazionalizzazione del Canale di Suez, con un fortissimo appoggio popolare. La funzione di Israele nella strategia occidentale divenne lampante: il 26 ottobre l’esercito israeliano, con un evidente piano segreto concordato con GB e Francia, compì una fulminea avanzata nel Sinai, il 31 ottobre inglesi e francesi effettuarono un bombardamento devastante su Porto Said, e il 5 novembre attaccarono massicciamente l’Egitto dal cielo, dal mare e da terra. Ma l’avventura di Suez si rivelò un disastro e segnò il declino definitivo della (pre-)potenza britannica! E anche di quella francese. L’intervento fu condannato dall’Urss (che minacciò di intervenire), dagli Usa (i quali erano tutt’altro che contrari a un ridimensionamento delle potenze europee) e dall’Onu che, quando cessarono le ostilità (9 novembre), inviò in Egitto una forza d’interposizione (i caschi blu, creati in quell’occasione) nel Sinai, forzando al ritiro le forze anglo-francesi e Israele.

Nel 1958 Nasser proclamò a sorpresa la Repubblica Araba Unita (Rau) con la Siria, sollevando enormi entusiasmi nel mondo arabo. La Rau si dissolse però nel 1961, con un colpo di Stato dell’esercito siriano che, nel 1963, portò al potere in Siria il partito nazionalista Ba‛th (v. oltre).

Sempre nel 1958 in Iraq l’esercito si sollevò, con l’appoggio spontaneo della popolazione, giustiziò la famiglia reale e proclamò la repubblica. Ci furono manifestazioni di massa in tutto il MO. Tutti i precari “equilibri” del MO apparvero in pericolo. Le potenze occidentali decisero un’operazione militare di vaste proporzioni (flotta di 50 navi da guerra Usa e sbarco 10.000 marine in Libano), ma non osarono attaccare direttamente l’Iraq temendo una guerra lunga e logorante. Il governo iracheno prese inizialmente provvedimenti avanzati, ma dovette poi affrontare una rivolta dei Curdi, che fu repressa, e il consenso si logorò fino a un nuovo putsch militare nel 1963.

Per il Kuwait la GB, di fronte al clima anti-britannico in Iraq, scelse nel 1961 la strada dell’indipendenza formale. L’Iraq non riconobbe la riconobbe: la crisi che ne seguì fu un significativo precedente di quella di 30 anni dopo, che portò alla “Guerra del Golfo”. La GB intervenne militarmente in Kuwait, ottenendo il via libera della Lega Araba, allora dominata dall’Egitto, che vedeva l’Iraq sciita come rivale (v. sopra), mentre all’Onu il Consiglio di Sicurezza venne bloccato dal veto dell’Urss.

Ho citato il Baʿth, “Partito Sociale Nazionale Arabo” (”Resurrezione“), o più correntemente Baath, che ha segnato poi, in modi diversi, i destini della Siria e dell’Iraq: la sua ideologia di fondo si identificava nell’unità del mondo arabo, libero dalle influenza politiche occidentali, che allo stesso tempo cercava di conciliare laicità, tradizione islamica, socialismo e nazionalismo. In Siria il Baath portò al regime che anche oggi conosciamo del generale alawita Hafez el-Assad. Tra i colpi di stato che nel 1963 videro il partito Baath alla ribalta nei diversi Paesi, particolarmente significativo fu quello in Iraq, tra i cui fautori vi fu Saddam Hussein.

Purtroppo la storia successiva dei paesi e dei popoli del MO ha conosciuto una successione di colpi di stato e cambiamenti di regimi.

La maledizione del petrolio

Potremmo evocare La Traviata, “croce e delizia”, ma la delizia è stata tutta (con rare eccezioni) per l’Occidente, o comunque per le aristocrazie regnanti o le élite finanziarie. Riportiamo le parole di Filippo Gaja: “La storia del petrolio è la storia dell’imperialismo occidentale nel Golfo Persico e nel MO. Le grandi società petrolifere internazionali ne sono state, e ne sono tuttora, l’anima. Impiantate progressivamente nella regione … le compagnie entrarono in possesso delle ricchezze nazionali dei paesi produttori sulla scia degli interventi militari delle rispettive potenze d’origine … Le compagnie trapiantarono nel deserto un’economia capitalistica internazionale di rapina impadronendosi, a un costo estremamente basso, di un prodotto rivenduto a prezzi molto più elevati a scala mondiale, e in quantità costantemente e rapidamente crescenti.” [9]

Quando nel 1971 tutte le forze militari inglesi furono ritirate dal Golfo Persico “si aprì la strada alla rivolta degli arabi contro il potere delle compagnie petrolifere” e riprese la strategia delle nazionalizzazioni (1971 Libia, 1972 Iraq, 1973 Iran, forzati accordi di “partecipazione” con l’Arabia Saudita e il Kuwait). Si deve ricordare la svolta della crisi petrolifera del 1973-74 (dopo la “guerra del Kippur” arabo israeliana), durante la quale il mondo occidentale conobbe la brusca carenza di petrolio e il conseguente aumento a livelli stellari del prezzo dell’energia (chi ha più di 50 anni ricorderà le “domeniche a piedi” [10]).

“Uno dopo l’altro tutti i paesi del Golfo ebbero il possesso formale dei pozzi e degli impianti, cioè dell’estrazione, con il diritto, più apparente che reale, di partecipare liberamente al controllo del mercato. Pompando a più non posso e inflazionando il mercato, le petromonarchie parteciparono a mantenere ai minimi livelli il prezzo del grezzo, favorendo lo sviluppo accelerato della società dei consumi in Occidente, e nello stesso tempo rovesciarono la montagna di petrodollari di profitto nel sistema finanziario internazionale, incentivando la speculazione e moltiplicando ulteriormente le proprie fortune.” [11] Il problema petrolifero cambiava perciò natura.

Qualche domanda deve sorgere spontanea anche alla persona più sprovveduta: come vivremmo oggi, nei nostri paesi Occidentali, se non avessimo sfruttato brutalmente le risorse naturali e umane appartenenti ad altri paesi, come il MO e l’Africa? Com’è possibile stupirsi ancora per le decine di migliaia di disperati che fuggono dalla miseria, dalle nostre guerre, e dallo sfruttamento?

La tragedia del colonialismo e l’obiettivo delle riparazioni

Diviene imprescindibile che i Paesi coloniali riconoscano le loro responsabilità verso i Paesi che hanno brutalmente sfruttato, imponendo in più trasformazioni che ne hanno compromesso drammaticamente la stabilità e il futuro, ed anche rapinando a man bassa tutte le ricchezze culturali, che sono andate ad arricchire i musei europei. L’epoca della decolonizzazione è ormai lontana, ma anche durante questo travagliato processo le potenze Occidentali hanno sistematicamente complottato e operato per eliminare i leader progressisti “scomodi” che intendevano svincolarsi dal loro dominio (basti ricordare gli assassinii di Patrice Lumumba, Congo 1961; Thomas Sankara, Burkina Faso 1987) e insediare al potere regimi oscurantisti o dittatoriali molto più malleabili per i loro fini.

Intanto in quei Paesi e in quei popoli si è sviluppata una coscienza civile, e con questa la consapevolezza dei danni profondi subiti durante la dominazione coloniale. Come possiamo stupirci del profondo risentimento verso i nostri Paesi? Questa consapevolezza sta sfociando in primo luogo nella richiesta di scuse ufficiali da parte dei Paesi coloniali, con il riconoscendo del proprio comportamento come criminale, ma si sta concretizzando anche un movimento per rivendicare concretamente risarcimenti materiali. Non c’è da stupirsi che i nostri media non ne diano notizia!

Rinvio a un sito internet dedicato a questo problema e continuamente aggiornato: http://www.colonialismreparation.org/it/.

Il 23/9/2016 a New York durante il Dibattito generale della 71a sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu il Primo Ministro di Saint Vincent e Grenadine, Ralph Gonsalves, ha evidenziato che la richiesta della Comunità Caraibica di giustizia riparatrice per le vittime della tratta transatlantica e del genocidio dei nativi continua a prendere slancio, e ha fatto appello “alle nazioni europee che hanno creato e tratto profitto incommensurabilmente da questo indifendibile commercio di esseri umani [Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Danimarca] ad aggiungersi alla discussione in corso sui contorni di una giusta ed adeguata risposta a questa tragedia monumentale ed il suo conseguente lascito di sottosviluppo”.

Nella stessa sessione dell’Assemblea dell’ONU, il 20/10/2016 durante la riunione sulla “Commemorazione dell’abolizione dello schiavismo e della tratta transatlantica”, il delegato di Cuba ha descritto la tratta e il lascito dello schiavismo come “la radice delle profonde disuguaglianze sociali ed economiche, dell’odio e del razzismo che continuano a colpire le persone di discendenza africana oggi”, sottolineando la necessità di rimediare pienamente e risarcire quei crimini orribili.

Se si avvicinasse il momento delle riparazioni?

NOTE

[1] Suggeriamo anche: R. Paternoster, “Medio Oriente, mina vagante fabbricata in Europa nel 1900”, http://win.storiain.net/arret/num120/artic2.asp. Per un inquadramento storico generale Pier Giovanni Donini (1936-2003), Il Mondo Islamico: breve storia dal Cinquecento ad oggi, Laterza, 2003.

[2] Si veda ad esempio E. Bertini, Arabia Saudita e wahhabismo, 24 aprile 2017, https://limesclubpisa.wordpress.com/2017/04/24/arabia-saudita-e-wahhabismo/.

[3] La pretestuosità di questo concetto è eclatante nei confronti degli Arabi, che fra il secolo IX e il XVI estesero il dominio dal Nord Africa alla Spagna, ed hanno portato grandi contributi alla cultura e alle scienze [matematica, notazione numerica posizionale, con uso dello zero; astronomia e strumenti astronomici, sfericità della Terra, suo diametro e distanza Terra-Sole con ordini di grandezza corretti; trigonometria, ottica; tecnologia chimica; medicina, oftalmologia, operazioni della cateratta; botanica, agronomia]. Gli arabi si distinsero per la tolleranza, che permetteva la convivenza tra le più svariate religioni e l’utilizzazione della cultura che i paesi conquistati avevano raggiunto.

[4] V. ad esempio: P. Tosatti, “Le 16 righe che deviarono il corso della storia in Palestina. La dichiarazione Balfour compie 100 anni”, Left, 31 ottobre 2017, https://left.it/2017/10/31/le-16-righe-che-deviarono-il-corso-della-storia-in-palestina-la-dichiarazione-balfour-compie-cento-anni/; Shlaim, “Opinione. La dichiarazione Balfour: uno studio sulla doppiezza britannica”, Nena News, 2 novembre 2017, http://nena-news.it/opinione-la-dichiarazione-balfour-uno-studio-sulla-doppiezza-britannica/. “Dichiarazione Balfour: Jeremy Corbyn boiscotta le celebrazioni”, Nena News, 26 ottobre 2017, http://nena-news.it/dichiarazione-balfour-jeremy-corbyn-boicotta-le-celebrazioni/.

[5] Filippo Gaja, cit., p. 140.

[6] V. per esempio: A. Delisa, “La grande rivolta araba del 1936-39”, Orienteitalia, 10 luglio 2014, https://orientalia.live/2014/07/10/la-grande-rivolta-araba-del-1936-39/; “Quando iniziò tutto, tra Israele e Palestina”, Post, 22 aprile 2016, http://www.ilpost.it/2016/04/22/rivolta-araba-israele/.

[7] La leggenda che gli Stati Uniti furono attaccati di sorpresa è stata messa in discussione da tempo sulla base di documenti ufficiali desecretati, che hanno dimostrato che gli Usa decifravano tutti i messaggi giapponesi ed erano preparati all’attacco a Pearl Harbour, dove avevano concentrato vecchie navi; Roosvelt aspettava, e quasi attirò, l’attacco per superare lo spirito di neutralità dominante nell’opinione pubblica: si veda ad esempio Robert Stinnett, Il Giorno dell’Inganno: La Verità su Pearl Harbour, Il Saggiatore, 2001. Per commenti sintetici si veda: S. Schiavi, “Pearl Harbour: il grande inganno di Franklin Delano Roosvelt”, Storia in rete, http://www.storiainrete.com/25/storia-militare/pearl-harbor-il-grande-inganno-di-franklin-delano-roosevelt/; M. Pizzuti, “Il caso Pearl Harbour”, AltraInformazione, http://www.altrainformazione.it/wp/il-caso-pearl-harbor/. Questa ricostruzione storica non ha però incrinato la versione ufficiale dell’aggressione proditoria!

[8] “Come fu che Stati Uniti e Gran Bretagna rovinarono l’Iran”, Mazzetta, 26 agosto 2013, https://mazzetta.wordpress.com/2013/08/26/come-fu-che-stati-uniti-e-gran-bretagna-rovinarono-liran/. S. Zoppellaro, “Iran: quando la Cia fece cadere Mossadeq cambiando per sempre la storia del paese”, East Journal, 14 giugno 2014, http://www.eastjournal.net/archives/44005. Anche: http://www.raistoria.rai.it/articoli/iran-il-golpe-contro-mossadeq/13514/default.aspx.

[9] Filippo Gaja, cit., p. 251.

[10] In Italia nel 1974 scoppiò lo “scandalo del petrolio” quando alcuni magistrati scoprirono documenti che compromettevano tutti i partiti politici (ad esclusione del Partito Comunista Italiano), ministri, dirigenti dell’Enel per procedure illegali e sovvenzioni a favore dell’industria petrolifera: “Vi ricordate lo scandalo dei petroli?”, La Repubblica, 14 marzo 1993, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/14/vi-ricordate-lo-scandalo-petroli.html; M. Vaudano, “Cultura della illegalità: la corruzione al tempo dello scandalo petroli“, Altritaliani.net, 3 novembre 2013, http://www.altritaliani.net/spip.php?article1684.

[11] Filippo Gaja, cit., p. 256

ANCORA DUE CONSIGLI DI LETTURA PER APPROFONDIRE

Robert Fisk «Il martirio di una nazione» (Il saggiatore)

Rosita Di Peri «Il Libano contemporaneo» (Carocci)

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