Il Brasile sogna dal basso in alto – di Claudia Fanti

Verso il voto. A sette mesi dalle presidenziali, intervista a Guilherme Boulo (Movimento dei Senza Tetto): la sinistra vincerà se agli accordi elettorali al vertice preferirà la mobilitazione della base. «È comprensibile che Lula invii dei segnali al centro. Ma questi segnali non possono significare una rinuncia a temi fondamentali a favore dei poveri del Brasile»

Lula durante un incontro con le donne a São PauloLula durante un incontro con le donne a São Paulo

Il vento è cambiato. E non ci sono dubbi che stia soffiando contro Bolsonaro e a favore di Lula. Ma «le elezioni non sono ancora state vinte», mette in guardia Guilherme Boulos, leader del Movimento dei Senza Tetto, candidato del Psol (Partido Socialismo e Liberdade) alle presidenziali del 2018 e alla carica di sindaco di São Paulo nel 2020 e soprattutto uno dei dirigenti più in vista della sinistra brasiliana.

Per questo sarebbe un errore puntare tutto su accordi al vertice e coalizioni elettorali, dimenticando che la vittoria potrà essere conquistata solo a partire dalla più ampia mobilitazione della società brasiliana. Una vittoria da cui ripartire per ripulire il campo delle macerie lasciate da Bolsonaro, di cui il leader del Psol contesta anche la neutralità in merito all’invasione russa dell’Ucraina.

Come valuta la posizione del Brasile in relazione alla guerra in Ucraina?

La politica internazionale di Bolsonaro è disastrosa. Sotto il suo governo, il Brasile ha perso rilevanza internazionale e prestigio diplomatico, diventando un paria in campo ambientale come nella lotta alla pandemia. La posizione di Bolsonaro sulla guerra è espressione di tutto ciò. Storicamente il nostro paese ha sempre difeso il principio di autodeterminazione dei popoli: l’invasione di un territorio da parte di una potenza straniera, qualunque essa sia, è inammissibile. Il Brasile avrebbe dovuto condannare in maniera ferma e senza ambiguità sia l’invasione russa dell’Ucraina sia la posizione di Stati uniti e Nato. Non l’ha fatto.

Esistono molte preoccupazioni intorno a un possibile tentativo di golpe da parte di Bolsonaro se venisse sconfitto alle prossime elezioni. In tal caso, cosa farebbero i militari?

Bolsonaro ha già dimostrato di non avere limiti. Alcuni tentativi golpisti realizzati in questi tre anni stanno lì a indicarlo. L’episodio più grave, ma non l’unico, è avvenuto il 7 settembre: ha chiamato a raccolta i suoi militanti contro la Corte suprema e il Congresso. Per questo è assolutamente possibile che Bolsonaro, se fosse sconfitto alle urne come credo avverrà, tenti questa strada, rifiutandosi di riconoscere il risultato, attaccando il sistema elettorale e via dicendo. Oggi ritengo molto difficile che le forze armate si imbarchino in un’avventura golpista, ma va ricordato che Bolsonaro può contare su milizie costituite da civili che gli sono fedeli e sono ben armati, grazie ai decreti di liberalizzazione del porto d’armi firmati dal suo governo. Per questo è necessario tenere alta la guardia rispetto alle prossime presidenziali e soprattutto promuovere un’ampia mobilitazione sociale per scongiurare qualsiasi golpe.

La retrograda élite brasiliana, quella che il sociologo Jessé Souza ha definito «Elite do atraso», permetterà che Lula venga rieletto?

L’élite brasiliana è tra le più reazionarie del mondo, ancora legata alle sue origini schiaviste. È l’élite che non ha avuto pudore a rovesciare Dilma Rousseff e a mandare in galera Lula – malgrado quello del Pt fosse un governo di coalizione -, come ad appoggiare l’elezione di Bolsonaro e a sostenere il suo governo, passando sopra il genocidio consumato durante la pandemia, l’ecocidio in Amazzonia, l’autoritarismo e l’apologia della dittatura. È chiaro che l’élite brasiliana cercherà di impedire il ritorno di Lula: una parte di essa, soprattutto quella legata all’agribusiness, si sta già mobilitando in tal senso. Ma oggi c’è tra la popolazione un forte sentimento anti-Bolsonaro. Non a caso Lula è in testa in tutti i sondaggi.

È in corso un vivace dibattito sulla probabile scelta di Alckmin come vice di Lula. Qual è la posizione del Psol?

Riteniamo sia un pessimo segnale. In primo luogo, per ciò che rappresenta dal punto di vista simbolico: nei suoi vari mandati come governatore di São Paulo, Alckmin si è distinto per le sue proposte anti-popolari, sferrando un duro attacco ai servizi pubblici, ordinando violenti sgomberi di senza tetto, scontrandosi con i professori. In secondo luogo, per il rischio politico che tale scelta comporta: abbiamo già sofferto un golpe patrocinato dall’allora vicepresidente Michel Temer, alleatosi con il congresso per destituire Dilma, e Alckmin proviene dal suo stesso campo politico. E, infine, perché il presunto vantaggio che deriverebbe da questa alleanza è molto dubbio: l’elettorato conservatore a cui si rivolge l’ex governatore difficilmente voterà Lula solo perché lui è il suo vice. È più probabile che volga le spalle ad Alckmin, come pare stia già facendo. Per questo riteniamo che tale alleanza sia un errore politico.

Ma di fronte al rischio di ingovernabilità, o addirittura di golpe, non è inevitabile puntare su ampie alleanze?

È comprensibile che Lula invii dei segnali al centro. Ma la questione è di quali segnali si tratta. Al di là del dibattito su Alckmin, la discussione in corso è soprattutto programmatica. Un eventuale nuovo governo Lula, anche qualora si presenti solo come un governo di ricostruzione nazionale, dovrà avere un livello di ambizione rispetto ai diritti sociali di molto superiore a quello di 20 anni fa, quando Lula ha assunto il governo nel 2003. Il Brasile è oggi un paese devastato e il prossimo anno avrà alle spalle quattro anni di governo Bolsonaro, tre di pandemia, sette di un’agenda economica neoliberista che ci ha portato il peggior livello di investimenti degli ultimi 50 anni: per poter garantire una ripresa, in termini tanto di sviluppo quanto di lotta alla disuguaglianza e alla povertà, saranno necessarie misure più audaci. E ciò significa lottare per questo programma già ora, durante il processo elettorale. I segnali rivolti al centro non possono significare una rinuncia a temi fondamentali per l’impegno a favore dei poveri del Brasile.

Quale spazio avrà l’ambiente in questo programma? Neppure i governi del Pt si sono dimostrati all’altezza della sfida.

Sulla questione ambientale serve uno sguardo nuovo che neppure il Pt è riuscito ad avere. Nel Psol il tema è molto presente, con un forte accento sull’ecosocialismo e sull’alleanza con il movimento indigeno e quilombola. La mia vice, nella campagna presidenziale del 2018, è stata Sonia Guajajara, una delle più grandi leader indigene del paese. All’interno della piattaforma che il Psol sta presentando a Lula e al Pt per costruire un’agenda comune per il paese, la questione ambientale ha il massimo risalto: occorre mettere al centro la deforestazione zero, il divieto di ampliare la frontiera agricola a favore dell’agribusiness, il rimboschimento delle aree degradate in Amazzonia, nel Pantanal, nella Mata Atlântica, un dibattito serio sulla transizione energetica, investendo maggiormente nell’energia eolica e solare in un processo di graduale superamento dei combustibili fossili, e su un nuovo modello di trasporto, rafforzando il sistema ferroviario e idroviario a scapito di quello autostradale dominante in Brasile. Questo dibattito è essenziale per il Psol e vogliamo farne un elemento chiave per un nuovo governo progressista nel paese.

Quali sono gli altri pilastri per un vero cambiamento?

Della piattaforma presentata dal Psol evidenzierei, oltre a un’agenda ambientale forte, altri due punti per noi determinanti. Il primo è la revoca delle misure adottate da Bolsonaro e da Temer dal golpe del 2016, a partire da una revisione della riforma del lavoro sul modello di quella compiuta in Spagna e dalla cancellazione del tetto di spesa, un assurdo strumento neoliberista che ha congelato gli investimenti pubblici per vent’anni, bloccando la capacità di intervento dello Stato. Il secondo è una riforma tributaria in senso progressivo, introducendo un’imposta sui grandi patrimoni, sulle banche, sui redditi alti. Oggi il sistema tributario è una sorta di Robin Hood al contrario: toglie ai più poveri per dare ai ricchi. Dobbiamo invertire questo processo affinché la tassazione diventi un meccanismo per combattere la disuguaglianza.

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