Contare e camminare insieme – di Rocco Artifoni

In memoria di Aldo Moro e Peppino Impastato

Oggi, mentre scrivo, è la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Sono passati 35 anni da quando nello stesso giorno (il 9 maggio) sono stati trovati morti Aldo Moro e Peppino Impastato. Il primo ucciso dai terroristi che volevano abbattere lo Stato e l’altro dalla mafia che si pone come Stato alternativo.
Di Aldo Moro sono rimaste nella memoria le immagini del corpo fatto ritrovare nel bagagliaio di una R4 rossa a pochi passi e a metà strada tra la sede dei due partiti popolari italiani, la DC e il PCI.
Di Peppino Impastato furono ritrovati soltanto brandelli del corpo, dilaniato dall’esplosivo, sparsi nel raggio di centinaia di metri. Aldo Moro è stato il politico che più di tutti ha cercato di costruire un ponte tra la DC e i partiti di sinistra, che ha consentito di approvare riforme importanti per i diritti nel lavoro, nella scuola, nella sanità, nella psichiatria, ecc.
Peppino Impastato si è ribellato al sistema mafioso, che abitava a 100 passi di distanza, che permeava la sua famiglia e il suo paese, denunciando gli interessi economici perseguiti dai clan con la connivenza di apparati dello Stato.

Aldo Moro fu tra coloro che scrissero la Costituzione e fu il primo firmatario dell’Ordine del giorno approvato all’unanimità l’11 dicembre del 1947 in cui si dice: “L’Assemblea Costituente esprime il voto che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado”.
Peppino Impastato è nato nel gennaio del 1948 insieme alla Costituzione della Repubblica Italiana. Nel 1966, compiuti 18 anni, scrisse un articolo il cui titolo diventerà famoso: “Mafia, una montagna di merda”.
Nel 1958, quando Moro fu nominato Ministro dell’Istruzione, si ricordò di quella promessa Costituzionale e istituì l’insegnamento obbligatorio dell’Educazione Civica nelle scuole medie e superiori.
Nel 1967 Peppino Impastato partecipò alla “Marcia della protesta e della speranza”, organizzata da Danilo Dolci dalla Valle del Belice a Palermo, camminando 6 giorni consecutivi e scrivendo il diario della marcia.
Aldo Moro trascorse i suoi ultimi 55 giorni di vita in un cubicolo di 3,24 metri quadrati, senza spazio per camminare. Fu ucciso per una sentenza pronunciata da un sedicente “tribunale del popolo”. Subito dopo il ritrovamento del cadavere, si scrisse della “geometrica potenza” delle Brigate Rosse, che avevano colpito il cuore dello Stato.
Peppino Impastato non sopportava le ingiustizie, soprattutto quelle che giungevano dallo Stato. Negli anni ’70 si mise in prima linea nelle lotte contro la speculazione edilizia, l’apertura di cave, la costruzione di una nuova pista dell’aeroporto. L’art. 9 della Costituzione dice che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Peppino Impastato denunciò gli accordi illeciti per la realizzazione di un villaggio turistico su un terreno demaniale, riuscendo a far bloccare un finanziamento della Cassa Depositi e Prestiti.
Aldo Moro nelle 86 lettere scritte dalla “prigione del popolo” mise a nudo la logica aberrante del potere, con il suo “assurdo e incredibile comportamento”, a tal punto di arrivare a chiedere alla moglie di “rifiutare eventuale medaglia”, essendo ben consapevole della fine.
Peppino Impastato contrastò le collusioni della politica con la mafia, con grande creatività, organizzando un carnevale alternativo, con una sfilata di cloni che dileggiavano i potenti del paese, e con la trasmissione radiofonica “Onda pazza”, in cui si raccontavano in modo dissacrante le storie di “mafiopoli”.
Il funerale di Aldo Moro venne celebrato senza il corpo dello statista per esplicito volere della famiglia, che non vi partecipò, ritenendo che lo stato italiano poco o nulla avesse fatto per salvare la sua vita.
Con le prime indagini si ipotizzò che Peppino Impastato saltò in aria mentre stava compiendo un attentato. Al funerale parteciparono e camminarono migliaia di compagni di Peppino Impastato, nell’indifferenza della gente del paese di Cinisi ferma dietro l’omertà delle finestre chiuse. In nome del popolo italiano furono i giudici Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto a riconoscere la matrice mafiosa dell’omicidio di Peppino Impastato.
Due mesi fa sono andato a Firenze, città di Antonino Caponnetto, “padre” di Paolo (Borsellino) e Giovanni (Falcone), per la 18° Giornata della Memoria e dell’Impegno, promossa da Libera con i familiari delle vittime delle mafie. In tanti (e tantissimi erano i giovani) abbiamo camminato per ricordare a noi stessi i nomi e il numero dei morti causati dalle mafie. Un elenco lunghissimo di persone note e meno note che hanno pagato con la vita l’aver scelto di camminare con la schiena diritta. Penso soprattutto ai giudici e ai giornalisti, ammazzati per aver indagato, ricostruito e raccontato le storie di persone come Peppino Impastato. Tornando da Firenze, sul pullman, mentre attraversavamo l’appennino, non lontani dalla Barbiana di don Lorenzo Milani, mi hanno chiesto di parlare della Costituzione, la prima legge antimafia, come dice don Luigi Ciotti.
Oggi, le immagini di Aldo Moro e di Peppino Impastato, persone infinitamente diverse, per una coincidenza di data,  tendono ad avvicinarsi, senza sovrapporsi mai. Sento di essere debitore verso entrambi, uomini assetati di giustizia e con la voglia di cambiare, ognuno nel proprio contesto, fuori e dentro le istituzioni.
Peppino Impastato, che contestò il potere, fu eletto consigliere comunale da morto.
Aldo Moro fu rapito mentre si stava recando in Parlamento, il giorno della presentazione del nuovo governo, sostenuto da un’alleanza innovativa, che si era “tanto impegnato a costruire”.
Mi piacerebbe che un giorno un comune intitolasse una via a “Aldo Moro e Peppino Impastato” insieme. Una strada lunga, che parta dal centro del paese e finisca in un prato. Mi immagino di percorrere quella strada, insieme alle ragazze a ai ragazzi che erano a Firenze, camminando vicini, contando i passi , pronunciando i nomi, raccontando le storie, facendo memoria, promettendo l’impegno, dando gambe alla speranza. E ripenso a Peppino che stavolta si rivolge a me e a ciascuno di noi e chiede: “E contare e camminare insieme, lo sai fare?”

Rocco Artifoni scrive sulla rivista della Rete Radié Resch “In Dialogo”

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