Contro poveri e senza terra Bolsonaro torna al ‘68: l’AI-5 è già realtà – di Claudia Fanti

Il governo sta pensando di riproporre l’atto che 51 anni fa istituzionalizzò la repressione e propone la legittima difesa per i poliziotti che si macchiano di crimini e abusi durante gli sgomberi.

Spaventato dalle rivolte popolari registrate in diversi paesi dell’America latina, il governo di Jair Bolsonaro si sta attrezzando nel migliore dei modi per impedire che il contagio arrivi in Brasile. E che ciò sia destinato a tradursi in un’ulteriore deriva autoritaria, lo indica assai bene l’evocazione di un nuovo AI-5: l’Atto istituzionale, promulgato nel dicembre del 1968 dal generale Artur da Costa e Silva, che ha dato avvio alla fase più brutale della dittatura attraverso la chiusura del Congresso, l’istituzionalizzazione della repressione e della tortura, la censura dei mezzi di comunicazione, la sospensione dei diritti politici degli oppositori.

Era stato Eduardo Bolsonaro, figlio del presidente, a riferirsi per primo al provvedimento: «Se la sinistra si radicalizza – aveva detto –, sarà necessario trovare una risposta che potrebbe arrivare da un nuovo AI-5». E subito gli aveva fatto eco, in una conferenza stampa negli Stati uniti il 25 novembre, il ministro dell’Economia Paulo Guedes, il volto più antidemocratico dell’ultraliberismo brasiliano, osservando – a proposito dell’esortazione rivolta da Lula ai brasiliani a scendere in piazza contro il governo – che nessuno dovrebbe stupirsi «se poi qualcuno chiede che sia applicato l’AI-5».

Non ce ne sarà comunque bisogno: lo stesso effetto di contrasto a ogni forma di resistenza Bolsonaro si propone di ottenerlo per vie meno traumatiche, come ha dimostrato inviando al Congresso, il 21 novembre, un progetto di legge mirato a garantire l’impunità agli agenti di sicurezza che, durante le cosiddette operazioni di «Garanzia della legge e dell’ordine» (Glo), incorrano in crimini ed eccessi (riconducendoli sotto l’ombrello della legittima difesa).

E per quanto tale provvedimento stia incontrando forte resistenza al Congresso, appena quattro giorni dopo il presidente ha rilanciato con un altro progetto di legge, finalizzato a estendere le operazioni di Glo – previste solo in situazioni d’emergenza – anche ai casi di sgombero degli accampamenti in area rurale, con l’obiettivo dichiarato di porre fine una volta per tutte alle «invasioni» del Movimento dei senza terra.

Misure, queste, destinate, come ha denunciato l’Mst, ad «ampliare lo sterminio già in corso», con eccellenti risultati – solo a Rio de Janeiro sono 1.546 le persone uccise dalla polizia nei primi 10 mesi del 2019 –, contro i poveri, i neri, i senza terra (vittime il 25 novembre di tre violenti sgomberi in Bahia, seguiti ai nove registrati in cinque mesi in Paraná).

E naturalmente contro gli indigeni e i difensori dell’ambiente, ultima barriera contro la distruzione dell’Amazzonia dove, come denuncia la scrittrice e documentarista brasiliana Eliane Brum, «un AI-5 non ufficiale è già stato introdotto».

In tutto ciò, del resto, Bolsonaro – come Piñera, Lenin Moreno, i golpisti boliviani e così via – potrà contare sul pieno sostegno degli Stati uniti che (come ha ribadito il segretario di Stato Pompeo in un impressionante discorso il 2 dicembre all’Università di Louisville, in Kentucky) saranno pronti ad aiutare i «governi legittimi» dell’America latina a impedire che le proteste si trasformino in «rivolte», giacché queste non rifletterebbero «la volontà democratica del popolo» perché «sequestrate» dai governi di Cuba e Venezuela.

È in questo quadro che si pone anche la recente visita del consigliere per gli affari politici dell’ambasciata Usa in Brasile, Willard Smith, alla Corte d’appello di Porto Alegre, quella che ha appena condannato Lula al processo sulla tenuta di Atibaia: un’esplicita presa di posizione a favore del tentativo di neutralizzare al più presto il rischio rappresentato dall’ex presidente.

Poco importa che Lula abbia scelto di portare avanti la sua lotta totalmente all’interno dei canali istituzionali (c’è addirittura chi afferma che starebbe tentando di ricomporre l’alleanza con forze di centro e di centro-destra): secondo Steve Bannon, che lo descrive come «il più grande idolo della sinistra globalista», l’ex presidente è destinato comunque a provocare «un’enorme perturbazione politica in Brasile». E, come già diceva Nixon nel 1971, «ovunque va il Brasile, lì andrà il resto dell’America latina».

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