Lettera di Paolo Latorre, comboniano, missionario a Korogocho-Nairobi (Kenya)

16 Dicembre,   III Avvento   Lc 3,10-18

«Che cosa dobbiamo fare?» questa e’ davvero la domanda giusta per questo tempo!! Un tempo in cui tutti hanno soluzioni per uscire dalla crisi, senza accorgersi che la crisi piu’ grande e’ quella di non rendersi conto di questa crisi antropologica, una crisi che appunto ha bisogno che questa domanda suggeritaci dal Vangelo di questa domenica venga gridata: «Che cosa dobbiamo fare?».  Si tratta di una domanda difficile. Meglio ribaltare la domanda, farla diventare un’affermazione e declinarla ad altri: «quello che gli altri dovrebbero fare perche’ si viva meglio e’….». Meglio offrire soluzioni appunto. Di queste trasformazioni e declinazioni sono un grande esperto, e quel che mi rattrista e’ che sono in compagnia di molti esperti del genere! Quello che il Vangelo di questa domenica di Avvento ci mette davanti, direi ci sbatte in faccia, e’ questa domanda forte a livello personale, che solo a sussurrarla al nostro cuore ci pone di fronte all’abisso dello smarrimento, della debolezza: «Che cosa devo fare?»

Una domanda del genere e’ sempre difficile farsela, soprattutto farsela ad alta voce davanti agli altri come avviene in questo brano del Vangelo di Luca. Giovanni sta parlando duro, sta delineando con chiarezza le ombre della generazione a cui si rivolge. Eppure nesuno va via, nessuno lo lascia solo o lo manda a quel paese. La gente aumenta e vuole ascoltare la sua parola, una parola che prepara la strada alla Parola, una voce che non teme di gridare nel deserto, una voce che da il suono ed articolazione alla Parola di Vita. L’invito alla conversione di Giovanni raggiunge il cuore di molti e questi si chiedono senza paura «Che cosa dobbiamo fare?». E poi…una cosa (gia’ difficile) e’ farsi la domanda, un’altra e’ essere capaci di ascoltare la risposta, viverla, com-prenderla, e com-prenderla in presenza di altri.

«Che cosa dobbiamo fare?» la risposta di Giovanni tocca dimensioni importanti della nostra vita quotidiana.

–          La dimensione relazionale della condivisione: si puo’ vivere circondati da tante persone, ma ritrovarsi soli perche’ con nessuno si ha il coraggio di condividere quello che si ha. L’accomulo, che gia’ Aristotele aveva dichiarato innaturale e nocivo alla vita sociale dell’uomo, e’ una brutta malattia per cui “non riesco ad usare l’altra mano per dare quello che l’altra ha preso, mentre se hai, hai per dare” (Enrico Chiavacci). Oggi piu’ che mai e’ una grande ingiustizia possedere autonomamente, esclusivamente. Viviamo in un mondo che sovraproduce tutto, dove tutti potrebbero avere il necessario per vivere, ma sono in pochi quelli che detengono la maggior parte delle ricchezze e le possiede e gestisce come se fossero loro intrinseca proprieta’, senza sapere che dei beni che abbiamo siamo solo amministratori. Alla sovrabbondanza e allo spreco fanno eco due bestie trasparenti: l’egoismo e l’indifferenza.

–          La dimensione politica: essere capaci di vivere la politica come la piu’ alta forma di Carita’ come dicevano Giorgio La Pira e Paolo VI. Non ci si puo’ arricchire sui sacrifici degli altri. Questa crisi finanziaria sta costringendo molti governi europei a fare manovre esattorie molto dure. La cosa che qui mi preoccupa e’ il fatto che ci accorgiamo solo ora che le tasse sono tante, mentre non ci siamo accorti di molte tasse che abbiamo pagato senza battere ciglio per lo sfruttamento di risorse naturali come l’acqua e l’aria!! Forse oggi questa risposta di Giovanni agli esattori delle tasse: «Non esigete piu’ di quanto e’ stato fissato» diventa per noi la richiesta di attenzione al limite delle risorse, al limite di sopportazione della nostra madre terra verso la quale ci comportiamo peggio di tanti esattori di tasse: le chiediamo piu’ di quanto ci puo’ dare mettendo a rischio la vita e la convivenza sul pianeta.

–          La dimensione sociale: La societa’ ha bisogno di ordine e rispetto. Ma questi valori fondanti della societa’ non possono essere estorti con la forza, e ancor meno con la forza militare. I drammi di questi tempi sono grandi e gravissimi, e la forza delle armi sembra l’unica forza possibile; questo e’ solo un abbraglio, un grande errore che nasconde la paura di farsi questa domanda che il Vangelo ci suggerisce: «Che cosa dobbiamo fare?» Cosa dobbiamo fare per avere il coraggio di amare e rispettare chi, accanto a noi, non ha le nostre stesse idee e che con il suo modus vivendi e la sua storia fa traballare i nostri valori? Cosa devo fare per avere il coraggio di osare la pace e l’amore ed il rispetto dell’altro?

Il tempo di Avvento e’ una grande opportunita’ per guardare nella nostra vita e nella nostra storia per ritrovare noi stessi – forse anche rischianodo di perderci – per scopire che ad attendere non siamo noi, ma e’ Dio che ci attende, e nell’attesa non smette di chiedersi «Che cosa devo fare per farti capire che ti amo, amo la vita che ho creato?»

Barikiwe,
padre Paolo Latorre

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