Lo strumento migliore contro la povertà – Robert Skidelsky

da The Guardian, Regno Unito

La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi rende sempre più necessario sostenere chi è rimasto indietro

Il Regno Unito non è stato l’unico paese europeo a indire un referendum a giugno. Il 5 giugno gli elettori svizzeri hanno respinto con una maggioranza schiacciante – il 77 per cento – la proposta d’introdurre un reddito di base per tutti i cittadini. Ma il risultato del voto non significa che il tema sia superato. L’idea del reddito di base si riaffaccia periodicamente nella storia. Questa volta, però, potrebbe mettere radici, perché le prospettive di un reddito da lavoro dignitoso per i poveri e i meno istruiti sono sempre più scarse. Il reddito di base è un mix di due obiettivi distinti: la riduzione della povertà e il rifiuto del lavoro come scopo della vita. Il primo è politico e pratico, il secondo è filosofico. La principale argomentazione a favore del reddito di base come mezzo per ridurre la povertà è – ed è sempre stata – l’incapacità del lavoro retribuito di garantire un’esistenza sicura e dignitosa per tutti. Nell’età industriale il lavoro in fabbrica era l’unica fonte di reddito per la maggior parte della popolazione, una fonte che periodicamente si prosciugava quando la macchina industriale si bloccava. Il movimento dei lavoratori rispose chiedendo il “sostegno al reddito”. L’introduzione del sostegno al reddito sfociò nella creazione di un sistema di sicurezza sociale, l’economia sociale di mercato o capitalismo del welfare. Lo scopo esplicito del welfare era garantire ai lavoratori un reddito – in genere attraverso un’assicurazione obbligatoria comune – durante le interruzioni forzate del lavoro. Il sostegno al reddito, tuttavia, non era considerato un’alternativa al lavoro.

A mano a mano che il concetto dell’interruzione del lavoro fu esteso anche ai disabili e alle donne con figli, le prestazioni di sostegno al reddito superarono le capacità economiche della previdenza sociale. Negli anni ottanta Ronald Reagan e Margaret Thatcher fecero involontariamente aumentare il valore del welfare, smantellando istituzioni e leggi create per tutelare i salari e i posti di lavoro. Con gli uni e gli altri lasciati al mercato, furono introdotti dei benefit sul lavoro, o crediti fiscali, per dar modo ai lavoratori di avere un “salario di sussistenza”.

Allo stesso tempo, però, i governi conservatori, preoccupati per il lievitare dei costi della previdenza sociale, cominciarono a tagliare le prestazioni del welfare. In questo contesto di precariato del lavoro e del welfare, il reddito di base servirebbe a garantire un tenore di vita dignitoso. Un’altra argomentazione a favore del reddito di base, molto sentita soprattutto nei paesi più poveri, è che rappresenta un potenziale strumento di emancipazione per le donne. L’argomentazione etica, invece, si basa sull’idea, presente sia nella Bibbia sia nell’economia classica, che il lavoro sia un fardello che l’uomo deve sopportare suo malgrado per guadagnarsi da vivere. Con l’aumento del reddito pro capite per effetto dell’innovazione tecnologica, le persone dovranno lavorare di meno per soddisfare i loro bisogni. Sia John Stuart Mill sia John Maynard Keynes prefiguravano un futuro in cui ci sarebbe stato più tempo libero e quindi un progressivo spostamento delle attività umane dall’utile al bello e al vero. Il reddito di base è una strada per orientarsi in questo passaggio.

L’ostilità verso il reddito di base si manifesta soprattutto quando la sua necessità è formulata in questi termini. Durante la campagna per il referendum in Svizzera, un manifesto poneva la domanda: “Cosa faresti se avessi un reddito garantito?”. L’obiezione del fronte del no era che i cittadini avrebbero risposto: “Niente”. Eppure, sostenere che un reddito indipendente dal mercato del lavoro ha un effetto demoralizzante è storicamente falso, oltre che eticamente ottuso. Se fosse vero, andrebbero aboliti i redditi che si ricavano da un’eredità. La borghesia europea dell’ottocento era in gran parte una classe di rentiers (persone che vivono di rendita), ma pochi mettevano in dubbio la loro voglia di lavorare. Tendenza al precariato L’esplosione della robotica ha dato nuovo slancio al dibattito sul reddito di base. Secondo alcune stime credibili, tra vent’anni nel mondo occidentale sarà tecnicamente possibile automatizzare tra un quarto e un terzo del lavoro attuale. Come minimo questo processo accelererà la tendenza verso il precariato del lavoro e del reddito. Nella peggiore delle ipotesi una buona fetta della popolazione finirà con il sentirsi superflua. L’obiezione standard al reddito di base è che economicamente è insostenibile.

Questo però dipende anche da quali sono i parametri: qual è il livello del reddito di base, quali prestazioni sostituisce, chi può richiederlo. Ma il punto non è questo. I dati dicono che negli ultimi trent’anni gran parte dell’aumento di produttività è andato a beneficio delle fasce più ricche della popolazione. Anche un’inversione parziale di questa tendenza basterebbe a finanziare un modesto reddito di base. Inoltre si potrebbe studiare un meccanismo in grado di legare la crescita del reddito di base alla ricchezza generale dell’economia. L’automazione è destinata a far aumentare i profitti, perché le macchine non sono salariate e hanno bisogno solo di un investimento minimo in manutenzione. Se non si modifica il sistema di creazione del reddito, non ci sarà modo di arginare la concentrazione della ricchezza nelle mani dei ricchi o di chi ha straordinarie capacità imprenditoriali. Un reddito di base in funzione dalla produttività del capitale porterebbe i vantaggi dell’automazione ai più, non solo a poche persone.

Robert Skidelsky è un economista britannico noto per la sua biografia di John Maynard Keynes. Insegna all’università di Warwick, in Inghilterra.

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