Lula è libero, svolta in Brasile – di Claudia Fanti


La folla in attesa dell’uscita di Lula dal carcere – foto LaPresse

Da IL MANIFESTO

Lula livre, finalmente. Alle 16.15 di ieri (ora locale), il giudice Danilo Pereira Júnior del 12° Tribunale federale di Curitiba ha disposto la scarcerazione dell’ex presidente, il giorno successivo alla sentenza della Corte suprema sull’incostituzionalità dell’arresto dopo la condanna in secondo grado. E appena un paio d’ore dopo ha potuto varcare i cancelli del carcere di Curitiba, in diretta tv, accolto dall’abbraccio di centinaia di suoi sostenitori che nel frattempo si erano radunati lì davanti.

DALLA CELLA in cui ha passato gli ultimi 19 mesi della propria vita, Lula non esce con un umiliante braccialetto elettronico, né con restrizioni di alcun genere. Neppure, è vero, con la sua «innocenza riconosciuta al 100%» come avrebbe voluto – per questa bisognerà aspettare, perlomeno, l’esame da parte della Corte suprema della richiesta di annullamento del processo sul caso Triplex, per cui è stato condannato in primo e secondo grado, avanzata dai suoi legali sulla base dell’accusa di parzialità nei confronti dell’ex giudice Sergio Moro -, ma comunque con la possibilità di viaggiare per il paese e di riprendere l’attività politica.

È stata una decisione attesa a lungo, quella adottata giovedi dal Supremo tribunale federale, anche a fronte dell’incertezza giuridica che ha regnato, a tale riguardo, dal 2016. Da quando, cioè, la Corte Suprema – sotto la spinta dell’inchiesta Lava Jato, allora con il vento in poppa -, aveva deciso a stretta maggioranza – 6 voti contro 5 – di autorizzare l’esecuzione provvisoria della pena già dopo il secondo grado di giudizio, voltando così le spalle alla giurisprudenza che, in linea con il dettato costituzionale, consentiva l’arresto solo nel momento in cui la sentenza fosse passata in giudicato.

Anche la decisione di giovedì è stata adottata con 6 voti contro 5: a favore del principio della presunzione di innocenza, Marco Aurélio, Ricardo Lewandowski, Rosa Weber, Gilmar Mendes, Celso de Mello e il presidente del Stf Dias Toffoli, a cui, quando il risultato era di 5 pari, è toccato il compito di esprimere il voto decisivo; contro, i giudici più vicini alla Lava Jato e più ferocemente anti-Lula, Edson Fachin, Alexandre de Moraes, Luís Roberto Barroso, Luiz Fux e Cármen Lúcia. Nomi, questi ultimi, non a caso finiti nelle rivelazioni di Intercept sul complotto giudiziario condotto dalla Lava Jato ai danni di Lula: dal noto «in Fux we trust», scritto da Moro parafrasando il motto nazionale Usa In God we trust, in Dio noi confidiamo, ai diversi accenni a Barroso e a Fachin come persone di stretta fiducia dei procuratori del pool.

Un risultato che era nell’aria, quello di giovedì, come aveva ben esplicitato poco prima della sentenza il rappresentante del Movimento dei Senza Terra João Paulo Rodrigues, il quale, incontrando Lula in carcere, gli aveva detto: «Se Dio vuole, questa è l’ultima visita».

Un risultato però non scontato, considerando tanto le forti pressioni dei settori militari e di estrema destra quanto l’offensiva del pool della Lava Jato, che, pur caduto in disgrazia, ha tentato di salvare il salvabile con un compromesso attorno alla possibilità dell’arresto dopo quella sorta di terzo grado di giudizio rappresentato dal Tribunale supremo di giustizia.

Il vento però ha ormai cambiato direzione, soffiando decisamente contro la Lava Jato, travolta dai clamorosi “messaggi segreti” divulgati da Glenn Greenwald e dalla sua équipe e poi da diversi organi di informazione che hanno deciso di cooperare con Intercept. Come pure dalla caduta di credibilità di Sergio Moro, passato dal ruolo di supereroe a quello di ministro sempre più succube di un sempre più impresentabile Bolsonaro.

Cosicché, in quell’apparentemente piccolo ribaltamento all’interno del Stf dal 5 a 6 al 6 a 5, ci potrebbe essere, chissà, l’avvio di una nuova stagione politica diretta a condurre il paese fuori dall’incubo Bolsonaro e in cui Lula potrebbe di nuovo giocare un ruolo decisivo. Ma intanto, per l’ex presidente e i suoi sostenitori, è arrivato il momento di festeggiare.

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