Editoriale del numero 99

Mi colpisce sempre tanto veder chi si dedica agli altri, sia che lo faccia sul lavoro, che in associazioni o in momenti spontanei, spesso lo faccia per sostenersi e per aprire a se stesso strade nuove.

Magari non ce ne rendiamo conto fino in fondo e comunque facciamo bene lo stesso a farlo. Ma quando poi uno inizia a capirlo, a fare un balzo di consapevolezza e dirsi la verità, si accorge di una cosa importante: che l’amore fa bene a chi lo fa.

E questo fa cambiare ottica a ogni altra persona vicino a te,  da problema si trasforma in opportunità.

È in quel momento che comprendi che l’amore non crea debiti, perchè fa bene a chi lo fa.

L’attuale crisi economica é ormai di enormi proporzioni. Sta mettendo in difficoltà le fasce più deboli della popolazione mondiale.

Sarebbe però molto riduttivo prendere coscienza di questo grido dei poveri senza rendersi conto che anche la terra soffre per l’esercizio di enorme dominio che l’ha ridotta a una risorsa a costo zero che si può impunemente violare, inquinare, distruggere.

Solo che la natura a differenza degli impoveri si sta vendicando, ci dimostra che la rottura degli equilibri sta ricadendo sulle nostre teste, perchè provoca esiti imprevedibili che potrebbero arrivare a mettere in discussione la nostra stessa sopravvivenza.

La crisi economica e quella ecologica sono due facce della stessa medaglia e dimostrano che il paradigma attuale non regge alle sfide contemporanee.

Io non sono un’economista, però mi sembra che l’universalità del bene comune richieda di garantire la base di vita per tutti, gratuitamente, non come merce, perchè l’uomo non è merce, ma vita!

E solo dopo che tutti hanno ciò che è necessario, si può aprire al mercato.

Di conseguenza c’é bisogno di un cambiamento radicale non solo del nostro modo di gestire i rapporti sociali, ma nella nostra stessa concezione della realtà.

Altrimenti dove andremo a finire?

Tutti dobbiamo avere un progetto.

Tutti dobbiamo riflettere a fondo, sui principi stessi della nostra società e sulle ragioni per cui quei principi ci hanno portato in questo vicolo, all’apparenza, cieco.

Perché la nostra vita abbia uno scopo, la nostra storia un senso, perchè vengano bloccate le catastrofiche spinte d’inerzia della nostra società, dobbiamo ricostruire il tessuto sociale.

Questo progetto è realizzabile, é uno dei tanti. Ha l’ambizione di invitare ogni gruppo, ogni donna e ogni uomo a dare il proprio contributo critico e creativo all’elaborazione e alla realizzazione di un nuovo progetto di civiltà.

Insieme a migliaia di altri, le cui mani si cercano, creiamo gruppi, cenacoli viventi per la realizzazione di un nuovo tessuto sociale.

Comprendiamo che tutto ciò é nelle nostre mani, nelle nostre volontà. Ma è attraverso la realizzazione di ciò, dovunque, che l’avvenire e la speranza possono cominciare a rafforzarsi.

Ho avuto la possibilità di visitare situazioni di estremo degrado, al limite dell’inumano. Penso allo “slum” di Korogocho a Nairobi, agli “allagados” di Salvador Bahia, alla “favelas Ilha de Deus” di Recife. Ogni italiano dovrebbe andare a Rosarno, in Calabria, dove sono costretti a vivere, in condizioni raccapriccianti, in una baraccopoli alcune migliaia di migranti che “servono” per la raccolta delle arance, nell’ “indifferenza” di molti e con il “beneplacito” delle Istituzioni.

Dove per noi è impossibile pensare che in quei luoghi possano vivere delle persone. Vi abitano appiccicati come sardine, in baracche senza acqua né luce né fogne. Dove i rapporti spesso sono violenti e chi è più forte, spesso prevarica il più debole. Ma una cosa ti colpisce e ti interroga profondamente: nonostante vivano questa condizione di inumanità, trovi in loro una voglia di vivere, un desiderio di cambiare che ti lascia esterefatto, incredulo…

È allora il caso di vivere fino in fondo la crisi che stiamo attraversando, trasformandola in opportunità. E l’opportunità sta nell’imparare a rimettere al centro la dimensione interiore, di intessere rapporti costruttivi con tutti, a riconoscere a tutti la loro dignità di persone. Abbiamo bisogno di imparare a guardarci in faccia, a leggere negli occhi delle nostre potenziali vittime il loro grido, a metterci nei panni delle nuove generazioni, perchè scatti una nuova sensibilità  e un nuovo senso di responsabilità.

Oggi, nessun centro di decisione, sia economico, sia politico, neppure per un istante mette in discussiione il modello di crescita. Anzi, la migliore risposta all’uscita dalla crisi ci viene presentata attraverso una maggiore produttività e un maggior consumo.

Termino assumendomi la responsabilità di scrivere che la crescita è il dio nascosto delle nostre società. Un dio crudele, che pretende sacrifici umani. E che oggi fa pesare su noi l’angoscia più lacerante che mai abbia gravato sugli uomini in tutta la loro storia. L’angoscia della spravvivenza stessa del pianeta e dei suoi abitanti.

il Direttore

 

Carissime e carissimi lettori,

grazie per la vostra  fedeltà, per l’amicizia, per gli attestati di stima che inviate.

Siamo in tempo di crisi, che è crisi economica e politica, ma soprattutto crisi di speranza, di prospettive. Ma abbiamo ancora buoni motivi per sperare. Non siamo soli se comunichiamo tra noi, se ci raccontiamo le nostre storie, se condividiamo le esperienze. Non siamo soli se impariamo assieme a dare senso e significato a ciò che ci appassiona o preoccupa, a ciò che la vita ci riserva.

Il 2013, inizia con il numero di marzo, il novantanovesimo (99°). Con quello di giugno, il numero 100, suggelleremo 31 anni di cammino insieme. Incredibile, ma vero!

Se ve la sentite, scrivete  cosa vi ha dato, come la vorreste, ciò che pensate…

Nel numero 100, sarà dedicato un ampio spazio per le vostre riflessioni.

Riflessioni che dovranno essere inviate entro il 30 aprile.

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