Editoriale del numero 106

Il “buen vivir”, il vivere bene, arrivato a noi dall’esperienze indigene dell’America latina, è il frutto dell’acquisizione che siamo tutti interdipendenti, profondamente bisognosi di relazione e di condivisione, fino a sentire che gli altri sono in noi e noi in loro. La pratica del continuo annuncio che don Ciotti fa attraverso il “noi”. Possiamo contare, essere, incidere solo se partiamo e realizziamo il noi. Uomini e donne semplici che hanno saputo liberarsi, liberarsi da soli, senza l’attesa di qualcuno che venisse a dare loro le briciole, continuando ad arricchirsi e a sfruttare, sotto forma di “aiuti allo sviluppo”. Poveri che sono diventati protagonisti della loro vita, manifestando le loro ricchezze umane e le loro competenze. Poveri che si sono staccati dal possesso dei ricchi. Poveri che hanno preso coscienza di un profondo bisogno di libertà, perchè ai ricchi più dei soldi e delle ricchezze, piace possedere, attraverso la loro ricchezza le stesse persone. Gandhi, e molti altri, ci hanno ricordato, che per chi ha fame, il denaro diventa dio, con la d minuscola, che sostituisce quello vero con la D maiuscola. Altri ci hanno continuamente spiegato che a chi ha fame, Dio si annuncia solo sotto forma di “pane”. Perché quando ti dedichi all’altro che ha fame, che è malato, che ha bisogno di te, i tuoi piccoli bisogni scompaiono, e le tue piccole angosce se ne vanno. E’ l’altro che ti libera dal nostro io, dal centrare tutto su noi stessi, è con certezza che scopri che è l’altro che ti libera. Uscendo dalla nostra dimensione individuale, chiusa, narcisistica, uscire da quella dimensione di autosufficienza che è la cultura del nostro mondo occidentale, con le sue porte chiuse, sprangate. Nei miei viaggi in Brasile e a Korogocho, ho incontrato molti, troppi impoveriti, frutto del nostro arricchimento spregiudicato ed egoistico. Uomini e donne senza certezze, senza sicurezze, che non sanno nemmeno se mangeranno domani, ma la forza che mi hanno trasmesso è incredibile… persone senza niente con un attaccamento alla vita fortissimo. Sono loro che ti trasmettono nella loro povertà di cose materiali, fiducia, gioia e speranza. Quante volte, troppe; mi torna in mente lo scritto di Roger Garaudy, “che oggi, l ’Occidente è l ’Accidente storico!” Quando parleremo di noi, del mondo con franchezza? Quando ascolteremo l’altro, gli altri con umiltà sentendoli parte di noi? L’attribuzione del Premio Nobel per la pace a Malala Yousafzai ed a Kailash Satyarthi è un fatto di grande importanza. Reca un messaggio, segnala delle urgenze, convoca a un impegno ineludibili: 1La difesa dei diritti delle bambine e dei bambini. 2L’invito ad India e Pakistan ad ascoltare le loro voci migliori. 3L’invito a tutte le religioni e le culture ad unirsi nel comune operare per il bene comune dell’umanità. 4La centralità della lotta contro la schiavitù che spesso, troppo spesso gli adulti impongono ai bambini. 5La messa in atto della lotta contro il maschilismo, che di tutte le violenze è la prima radice. Come ogni persona sa, il Nobel per la pace è stato più volte attribuito a destinatari indegni. Almeno quest’anno, premiando un adulto che difende i bambini e una bambina che gli adulti cercarono di assassinare e che continua a testimoniare e ad impegnarsi per promuovere il diritto alla scuola, allo studio, al sapere per tutte le bambine e le giovani del mondo, contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le oppressioni; per la vita, la dignità i diritti di tutti gli esseri umani. Perché ogni vittima ha il volto di Abele e di tutti gli Abele delle altre religioni e del mondo. Solo la nonviolenza può salvare l’umanità.

Dilma Rousseff è stata rieletta presidente del Brasile. Le auguriamo che sappia prendere decisioni sagge e sapienti, orientate verso vere riforme che vadano a tutelare i bisogni degli impoveriti, dei senza terra e degli esclusi.

Antonio Vermigli

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Qui non è profondo il mare. Non servono abissi per sprofondare. Basta un battello di viaggiatori che pagano il più alto costo per le peggiori condizioni di trasporto marittimo della storia umana. Peggio degli schiavi incatenati: perché quelli serviva che arrivassero vivi per essere venduti. Nessuno prima di loro è salito su un’imbarcazione a così caro prezzo della vita. Era una notte calma, il mare ancora tiepido di estate. Ma non si può stare immersi per delle ore al buio e all’abbandono. Anche a mettersi nudi per togliere qualunque peso, aggrappati a rottami, si perde presa e calore, ci si arrende. Non servono abissi per sprofondare. Dalla barca di Simone,che è stato il primo a immergersi sul relitto, partono immersioni, si va sui fondali con bombole e mute subacquee, si guarda dietro il vetro della maschera. Tutti noi guardiamo così il mondo dei sommersi, dietro un vetro divisorio. Torniamo su questo braccio di mare dove un anno fa è affondato un Parlamento di vite umane. Votarono all’unanimità il viaggio, acquistarono il rischio e lo sbaraglio. Gridarono all’unanimità verso la terraferma chiusa nella sua notte. Nell’elenco parziale della Questura di Agrigento si leggono i loro nomi e le loro età sotto la dicitura: Numero di elementi. Elementi: la parola burocratica tenta malamente di tenersi a distanza, mentre richiama altri elementi, quelli della chimica. Idrogeno, Ossigeno, Carbonio, Azoto, Ferro, Calcio, dei quali siamo fatti tutti noi. Allora è proprio così: qui sono affondati gli elementi che formano la chimica umana del pianeta. Qui sono affondati insieme a tutti quelli che non nasceranno da loro. Dove il mare accolse la loro caduta a braccia aperte siamo venuti a spargere sale. Spargiamo sale sulla ferita perché non si rimargini. Spargiamo il sale della memoria su uno dei naufragi finiti in braccio al nostro mare. Siamo cittadini del Mediterraneo, noi che su queste coste siamo nati. Siamo perciò fratelli di tutte le vite che su queste coste sono venute a morire.

Erri De Luca

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