Vita e morte di Raja

di Alessandro Ghebreigziabiher – originalmente pubblicato ne La Bottega del Barbieri

Vita, morte e miracoli.
Di questo vorremmo raccontare, noi tutti.
Riguardo a noi stessi, un giorno possibilmente lontano, all’imbrunire della nostra sopravvalutata esistenza.
Più che mai dei nostri figli, ma nel tempo reale del loro massimo splendore.
Quando tutto è ancora possibile.
Peccato che i miracoli siano così rari per i più sfortunati di questa terra, colpevoli soltanto di trovarsi nel posto giusto – ma che dico – sacrosanto, nel momento peggiore.
Ecco perché questa breve storia può evocare solo la vita e la morte di Raja, giacché il mirabile evento del quale ella  si sarebbe sicuramente accontentata possiamo chiamarlo sopravvivere all’ennesima bomba.
A ogni modo, narriamole entrambe come se fossero due creature distinte.
Cominciamo dalla più dolorosa, così ci leviamo subito il pensiero.
La morte di Raja è nata nel 1997 negli Stati Uniti, precisamente in una fabbrica di munizioni di Milan, cittadina dello stato del Tennessee.
La morte di Raja ha un nome complicato e difficile da ricordare, come tutti gli scomodi frammenti del passato, dai quali, proprio a causa della nostra distrazione, non traiamo alcun insegnamento.
Difatti, la morte di Raja si chiama CBU-52 B/B. Ma dietro l’anonima e apparentemente innocua sigla, alla stregua delle insidie maggiormente pericolose per le anime indifese di questo pianeta, si nasconde un’orribile fiera: la bomba a grappolo.
Nondimeno, se desideriamo sul serio riflettere sul malefico albero genealogico di questa inaccettabile vicenda, non possiamo evitare di rammentare che il suddetto ordigno ha dei genitori altrettanto ripugnanti, per usare un eufemismo.
Mi riferisco alle industrie belliche durante il governo della Germania nazista.
Potremmo proseguire andando a ritroso di avo in avo in tale immonda linea di sangue ottusamente versato, tuttavia, forse sono in grado di risparmiarvi lo sgradevole viaggio.
La morte di Raja ha origini lontane, dove la natura più folle dell’essere umano si è invaghita della sua più cinica ambizione per il potere. Affetto corrisposto quanto travisato nella maniera più clamorosa, giacché tutto c’è stato tra loro fuorché amore. E tra le aberrazioni di quel tutto si può annoverare anche ciò che accadde il 23 marzo del 2018, quando la giovane ragazzina si trovava al riparo di un albero a pochi metri da casa, cercando di godere del meritato ristoro insieme alla madre.
Questo è il giorno in cui è venuta al mondo la morte suddetta, colpendo al cuore un’intera famiglia, dopo esser precipitata sul frutto più tenero e fragile di quest’ultima.
La scomparsa di Raja è ciò che irragionevolmente resta, è quel che abbiamo portato alla luce e nutrito come se fosse lei, nostra figlia.
Al contempo, ecco la sua breve esistenza.
La vita di Raja è cominciata in una fattoria dello Yemen nel 2004 ed è durata solo quattordici anni.
La vita di Raja è composta da ogni singolo istante lieto da lei trascorso con Amira, la mamma, e suo padre, il quale si ritrova oggi costretto a condividere con il mondo l’amaro lutto.
A dire il vero, con il dovuto senno di poi, anche tutti gli altri momenti passati assieme, per quanto meno piacevoli, sono degni di rimpianto.
Poiché sono stati vissuti con l’innocente fiducia di avere ancora tanto tempo all’orizzonte.
Perché la vita di Raja è un fiore unico privato dei suoi petali.
È una farfalla con il dono del presente ma dalle ali mozzate.
È una bella favola senza finale e men che meno morale.
È una canzone scritta per non esser mai cantata e un abbraccio stretto con il vento e la polvere, con gli occhi serrati e lacrime antiche a far da testimoni.
Eccoci alla fine, quindi.
Questa è la vita di Raja e anche la sua morte.
Ma, forse, un miracolo è ancora possibile, sebbene alimentato da speranza assai flebile e remota.
Che tale ennesima, trascurata e amara, umana vicenda instilli una volta per tutte il definitivo dubbio nella maggior parte di noi su chi siano davvero i mostri e chi le vittime del mondo.

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