Le riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” sulle elezioni del 24-25 febbraio 2013

La coscienza cristiana di fronte al “date a Cesare, date a Dio”

Nell’imminenza delle elezioni politiche, la coscienza di quanti cercano di ispirarsi all’Evangelo, e vogliono essere fedeli all’invito di Gesù – “Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio” (Matteo 22, 21) – si trova di fronte ad interrogativi impegnativi sui comportamenti individuali e collettivi da tenere. Davanti a questa scadenza elettorale si presentano infatti, ben più che in passato, problemi che si sono aggravati, nuove emergenze ed una crisi economica e sociale che non è per niente in via di superamento. La mancanza di lavoro e di prospettive per i giovani sono i due aspetti che più mordono nella vita quotidiana di ampi strati della popolazione. Ma anche altre questioni si pongono alla nostra coscienza: i poteri criminali sono in espansione e ora anche al Nord; dalla finanza interna e internazionale dipende, in buona parte, la gestione degli interessi collettivi; il riarmo continua ed in Afghanistan il nostro paese è in guerra; la condizione dei nuovi migranti e dei profughi è in contrasto per molti aspetti con la tutela elementare dei diritti della persona. Anche altri diritti sono disattesi; tra gli altri ricordiamo quello ad una condizione degna del carcerato, quello ad una sufficiente tutela di ogni donna dalle violenze o ancora quelli delle nuove famiglie, etero ed omosessuali, non unite in matrimonio che sono sprovviste di una specifica tutela giuridica.

In questa situazione, per certi versi nuova, la “casta” politica appare come un unico monolite a una vasta area dell’opinione pubblica. Sappiamo che non è così, che ci sono profonde differenze di moralità e di rappresentatività. Ma non si può negare che la “classe” politica da una parte è degenerata, quella che ha governato per lunghi anni, dall’altra, quella che ambisce legittimamente a governare, fa fatica a dimostrarsi credibile, capace di alternativa, in modo da sconfiggere chi predica l’antipolitica e la demagogia populista. In sintesi, siamo non solo in una fase di emergenza sociale ma anche il funzionamento della democrazia è in crisi, mentre la campagna elettorale dimostra una enorme povertà di contenuti davanti a questi grandi problemi. Prevalgono troppo spesso gli slogan e le promesse non credibili; le grandi questioni non vengono affrontate, in particolare quelle relative alla collocazione dell’Italia in Europa e sullo scenario internazionale Questa la situazione che si presenta a tutti, anche a quella “base” cattolica che, nella crisi, si impegna nel volontariato, nella cooperazione internazionale, nei movimenti per la difesa dei beni comuni, contro i poteri criminali, contro il riarmo e che, per il proprio impegno civile, ha come riferimento costante la Costituzione repubblicana, anche con i suoi contenuti di laicità (che non ha bisogno di aggettivi).

Una riflessione nuova a partire dai 1700 anni dall’Editto di Milano

Per i credenti è allora necessaria una nuova riflessione di fondo che comprenda i segni dei tempi, quelli positivi e quelli negativi, a partire da una libertà di spirito e di giudizio che non accetti come dogmi quelli del pensiero unico liberista nell’economia e nella finanza o le priorità apodittiche dei “valori non negoziabili”. Il pragmatismo dell’azione sociale di base deve riflettere, in modo più generale, sulla presenza dei cristiani nel “mondo”. In questo senso la ricorrenza dei 1700 anni dall’Editto di Milano (con il quale gli imperatori Costantino e Licinio proclamarono il Cristianesimo “religione lecita”) può essere veramente l’occasione per una ridiscussione alla radice del rapporto tra Vangelo e potere. Il riferimento di questa riflessione è il messaggio di Gesù, sono le affermazioni del Concilio Vaticano II sui rapporti Chiesa-mondo e l’esame critico della cosidetta “svolta costantiniana”, nonché un nuovo impegno per una Chiesa povera e dei poveri.
Ma ragionare, come purtroppo da più parti si sta facendo, sull’editto del 313 senza collocarlo nella complessità del suo contesto storico, facendone solo un grande esempio di tolleranza e di affermazione della libertà di coscienza, porta a semplificazioni a senso unico che non tengono conto anche delle violenze che esso provocò. Costantino punì infatti i cristiani da lui giudicati “non ortodossi” rispetto alla Chiesa ufficiale, gli “eretici” ed anche gli ebrei definiti “deicidi”. Nacque allora l’idea e la pratica dell’alleanza tra il trono e l’altare che a poco a poco portò le gerarchie ecclesiastiche, soprattutto dopo che Teodosio proclamò il cristianesimo unica e obbligatoria religione dell’impero, sia a servirsi del potere civile per imporre il Cristianesimo, sia a servire quel potere. E, venendo all’oggi, ancora più improponibile ci appare l’ipotesi – fatta balenare dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, nella scorsa ricorrenza di sant’Ambrogio – di “usare” quell’Editto per delineare uno Stato aconfessionale a laicità limitata (un’ipotesi che “Noi siamo Chiesa” ha vivamente criticato).

A quando un’autocritica radicale?

In questo panorama generale si inserisce la posizione del Vaticano e della Conferenza episcopale sulle prossime elezioni politiche. Una posizione ondivaga negli ultimi mesi: prima più convinta di un nuovo protagonismo dei cattolici organizzati, poi costretta a una posizione più prudente, almeno nei pronunciamenti ufficiali. Da parte nostra pensiamo di esprimere un’opinione molto diffusa quando, ancora una volta, ripetiamo che è necessaria ed indispensabile per la credibilità di qualsiasi posizione dei vescovi una preliminare, chiara ed esplicita posizione autocritica. Essa deve essere senza “se” e senza “ma” sul consenso da essi espresso, senza soluzione di continuità, anche se con forme velate e con dissensi interni mai resi espliciti, alla destra politica nelle sue due manifestazioni più importanti, entrambe paganamente ispirate, il leghismo e il berlusconismo.
In questa autocritica non ci possono essere ambiguità, distinguo, mezzi arretramenti o prese di distanza fatte di messaggi per addetti i lavori. Si obietterà che il problema non riguarda solo i vertici e che il consenso alla destra individualista, populista e anche razzista ha riguardato e riguarda una parte non piccola del popolo cattolico. Ciò è vero, ma è anche vero che dalla gerarchia sono venuti stimoli all’accettazione della situazione e al silenzio mentre si praticava un rapporto di scambio di favori tra potere ecclesiastico e potere civile che abbiamo denunciato più volte. Contestualmente le voci critiche diffuse alla base del mondo cattolico sono state inascoltate o censurate.
Questo opportunismo politico è stato contestuale al tentativo di affermare la propria identità di Chiesa sottoposta – secondo la CEI – agli “attacchi” laicisti e a un preteso accerchiamento permanente. Quanto tale sensibilità sia errata in radice lo diciamo da anni, constatando che la Chiesa cattolica gode nel nostro paese, sia dal punto di vista giuridico che materiale, di una condizione di evidente privilegio che è sancita nella Costituzione e nel nuovo Concordato. Vi sono inoltre il rispetto e l’ossequio di tutti i partiti, salvo rare eccezioni, e poi della grande stampa e delle grandi strutture associative: un atteggiamento remissivo raramente turbato da critiche, peraltro sempre relative a specifiche questioni. E’ una situazione unica in Europa, e perciò appare grottesco il vittimismo che spesso caratterizza gli interventi della CEI e dell’ “Avvenire”.
Il documento conclusivo del Consiglio episcopale permanente del 30 gennaio ha affermato: “E’ cresciuta – nel paese – la considerazione del Magistero (dei vescovi) , inteso quale voce profetica, che si leva in modo puntuale e convinto, anche a prezzo di derisioni”. Voce profetica? Ma davvero? C’è da rimanere allibiti di fronte a tanta sicurezza e autostima. A noi sembra che esista invece un generale disinteresse nel tessuto sociale per la gran parte delle prese di posizione dell’episcopato, mentre anche nel mondo cattolico c’è chi ormai parla di casta ecclesiastica, per esempio in relazione alla gestione delle risorse economiche. Ma anche in relazione alla generale copertura anche in Italia data ai preti pedofili, confermata in sostanza dalle “Linee guida” della CEI del maggio 2012, dove pesa come un macigno l’assenza dell’obbligo di denuncia alla magistratura dei criminali e l’invito alle vittime a rivolgersi ancora ai vescovi, come se essi non avessero fatto sempre pessima prova in passato su questa questione anche nel nostro paese.

“Operazione Todi”

In questa situazione bastano poche parole su ciò che, per semplificazione, chiamiamo “operazione Todi”. Essa è nata nell’ottobre del 2011 con la prolusione del Card. Bagnasco ad una riunione nella cittadina umbra, per cercare le vie di un ruolo più incisivo in politica dei cattolici sotto l’ala clericale, con un occhio di riguardo al PDL sperandone l’emancipazione dal suo fondatore e leader. L’iniziativa si è poi, via via, sfarinata in contrasti interni e nella forzatura, autorevolmente e avventatamente avviata, di gestire tutto sotto l’ombrello centrista di Mario Monti, ambiziosamente preconizzato come il nuovo De Gasperi. D’altronde, quasi subito la CEI ha dovuto prendere atto che il possibile nuovo partito o lista-partito non dava ai vescovi le attese e rassicuranti garanzie di muoversi, soprattutto sui temi bioetici, secondo le loro indicazioni e che lo stesso consenso auspicato era minore del previsto.
Non ci dispiace affatto che la “operazione Todi” sia fallita; essa ha tuttavia avuto un aspetto positivo, perché ha permesso di far venire alla luce, oltre che ambizioni individuali e collettive, la pluralità delle realtà associative e delle opinioni politiche presenti nel mondo cattolico. E anche i vescovi hanno dovuto finalmente constatare la presenza di cattolici in tutto il ventaglio dello schieramento politico. Il Consiglio permanente della CEI del 30 gennaio è stato dunque costretto a prendere atto di questa realtà e perciò non ha osato indicare sponsorizzazioni. Supponiamo che i vescovi si siano anche resi più consapevoli che le loro indicazioni elettorali sono, da tempo, ben poco seguite. Inoltre sono venute alla luce, anche se sottotono, differenze di opinioni tra i vescovi. Anche la pesantezza della crisi e la tentazione dell’antipolitica premono vivacemente sulla base popolare del cattolicesimo italiano. Di questa situazione si è fatto eco, in qualche modo, nella sua prolusione al Consiglio permanente, il Card. Angelo Bagnasco. Egli, nei giorni successivi, è arrivato fino a dire che il popolo italiano non si sarebbe fatto “abbindolare”da promesse elettorali prive di qualsiasi credibilità.

Il ricompattamento sui “valori non negoziabili”

Si è così esaurito, almeno per ora, il tentativo di una lobby direttamente organizzata e connessa con le direttive episcopali. La linea di compattamento e di identità che sembra emergere per la prossima legislatura è ancora quella della consueta azione di intervento e di interdizione (e poi di scambio a tutto campo su altre questioni) fondata su un “pacchetto” complessivo di “valori non negoziabili” e sulla cosiddetta “questione antropologica”. Su di essa i vescovi pretendono di avere l’ultima parola a nome di tutti, credenti e non credenti. Questo insieme di questioni, tutte da gestire con la massima intransigenza, è criticato da tempo dall’area conciliare della Chiesa a cui apparteniamo. Esso serve a una specie di ricompattamento ideologico, che in certe sue campagne (Family day, caso Eluana…) si manifesta anche con slogan e vere e proprie colpevoli banalizzazioni dei problemi veri che stanno a monte, come, per esempio, quello delle coppie di fatto, quello della maternità/paternità consapevole e quello della dignità del morire.
Dal nostro punto di vista ribadiamo che la politica è di per sé terreno di confronto alla ricerca del bene comune, partendo dalla valorizzazione dalla nostra legge fondamentale, la Costituzione della Repubblica. Non possono esserci dei dogmi come si pretende che siano per l’appunto “i valori non negoziabili”. Nello specifico poi questi dovrebbero essere disaggregati ed esaminati uno per uno, perché sono, tra di loro, differenti. Come ricorda la rivista “Aggiornamenti sociali (settembre-ottobre 2012) la stessa espressione “valori non negoziabili” non ha di per sé un’origine chiara e l’elenco meriterebbe di essere rivisto. Non è forse un valore non negoziabile anche il lavoro? E il rifiuto della guerra? E la tutela degli esclusi, degli ultimi?
Su ognuno dei “valori” patrocinati dalla CEI abbiamo espresso opinioni argomentate sia nel merito che con alcune riflessioni di metodo che riproponiamo: bisogna avere ben presente la situazione, anche del singolo soggetto coinvolto nel “valore” in discussione, e il contesto in cui il problema si pone; bisogna distinguere il senso di una norma giuridica di uno Stato laico e la contestuale libera opzione di una coscienza informata; bisogna affermare l’opportunità, anzi la necessità, di affidare a “cristiani adulti” la ricerca di punti di accordo che ostacolino il bipolarismo etico, che si è invece affermato negli ultimi dieci anni nelle istituzioni, anche grazie alle pretese della CEI e del papa di avere il monopolio dell’etica. E’ necessario un nuovo dialogo con tutte le forze laiche, o comunque con altri punti di riferimento filosofici e culturali, per mediazioni che riducano al minino il ricorso a voti di coscienza davanti a soluzioni pragmatiche che tengano conto di diverse opinioni, di diversi interessi, dell’interesse generale e di un rapporto anche critico con la scienza per quanto riguarda la bioetica. In questo modo la biopolitica, neologismo usato Card. Bagnasco, non sarebbe più l’occasione, nelle istituzioni, di lacerazioni che non sono presenti nell’opinione pubblica o che lo sono in misura molto minore.

Costringe sempre a nuove riflessioni, in rapporto ai tempi e alle situazioni, l’obbedienza, per un cristiano, all’imperativo di Gesù: “Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio”. Noi, a proposito delle prossime elezioni, non abbiamo indicazioni di voto da suggerire; vorremmo solamente contribuire alla comune riflessione delle nostre sorelle e dei nostri fratelli su come rimanere fedeli all’ideale propostoci dall’Evangelo. Il quale, nel capitolo XXV di Matteo, ci ricorda gli argomenti su cui, nell’ultimo giorno, saremo giudicati: “Avevo fame, avevo sete…”. E saremo “maledetti” se avremo chiuso il nostro cuore ai derelitti, e “benedetti” se lo avremo aperto. Il che significa, per l’insieme della nostra comunità ecclesiale, non cercare il potere per il potere ma per il servizio. la Lumen gentium (n.8) ci ricorda che “la Chiesa , che comprende nel suo seno peccatori, che è santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento”.

“Noi siamo Chiesa”
Roma, 18 febbraio 2012

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