Papa, migranti, Lampedusa, politica – di Antonio Vermigli

Carissima, carissimo,
è una constatazione banale riconoscere che stiamo vivendo un’epoca di crisi in cui sembrano venir meno i punti di orientamento fondamentali per la vita umana.
Meno scontato, invece, è rendersi conto che la crisi attuale non è un semplice oscuramento delle certezze, ma lo sbriciolarsi dell’’umanità dell’’uomo, che sprofonda in una specie di abisso silenzioso la cui verità ultima è la morte. La cronaca attuale è abbastanza eloquente al riguardo.
Nel mondo, donne e uomini lottano e muoiono per le troppe libertà negate. In Italia invece corriamo il rischio di essere schiavi di un benessere economico che ci ha sedotti e affascinati con modelli di successo facile. A volte siamo come incatenati, mentre abbiamo bisogno di avere sete e fame di libertà per volare alto con il cuore e con la mente.
C’’è molta sete di libertà, che significa saper individuare la strada che conduce a realizzare il proprio progetto di vita, nascosto dentro di noi, quello che sentiamo, che ci realizza pienamente.
E’ importante saper valutare se le nostre scelte quotidiane riescono a concretizzare questo nostro bisogno, questo nostro obiettivo.
Viviamo in una società caratterizzata da un senso di precarietà del presente e di incertezza del futuro. Abitiamo un mondo che sembra sfuggire al nostro controllo e impedirci di capire dove stiamo andando. Da tutte le latitudini le società civili invocano giustizia, libertà, verità, pace e riconciliazione. La crisi finanziaria colpisce l’’Occidente, mentre la fame si abbatte sul Sud del pianeta togliendo la vita a milioni di uomini donne e bambini nell’’indifferenza generale. Chi ha chiude la porta, chi soffre tende la braccia guardandoci negli occhi senza incontrare i nostri…
La democrazia è ormai ridotta ad uno show per cittadini spettatori.
Credo che sia giunto il tempo perchè ognuno di noi esca allo scoperto per condividere la corresponsabilità di una Terra futura, di una Terra Madre per tutti.

A volte, mediante le nostre scelte quotidiane, diventiamo complici di meccanismi economici e politici che generano ingiustizie sociali. In realtà, bisognerebbe accogliere e non emarginare le persone che fanno fatica a vivere. Come? Mediante una solidarietà intelligente, ossia un’’azione che rimuova le cause dei problemi e non si limiti all’’assistenzialismo. Quando andiamo a fare la spesa, per esempio, impariamo a favorire la filiera etica comprando prodotti di imprese che rispettino i lavoratori e l’’ambiente. Anche questo è un modo concreto per promuovere una politica del bene comune.
Prendiamo esempio dalle lotte di alcuni popoli latinoamericani: Bolivia, Ecuador e Paraguay, che nelle loro Carte Costituzionali hanno messo il buon vivere, patrimonio delle tradizioni indigene, questi è indicato come l’obiettivo sociale che deve essere perseguito dallo Stato e da tutta la società. Quindi non il vivere meglio, che suppone un progetto illimitato non sostenibile e che richiede per molti, la maggioranza, il vivere male, ma il buon vivere, che mira ad un’’etica del sufficiente per tutta la comunità e non solo per l’’individuo, in profonda comunione con la Madre Terra che ci ospita.
Oggi la stragrande maggioranza dei popoli vengono sempre più impoveriti, esclusi e schiacciati dal peso della miseria, costretti a prendere la via dell’’immigrazione.
Non possiamo più accettare che il Mediterraneo diventi il cimitero di tanti fratelli e sorelle. Si stima che nei suoi fondali ci siano dai 15 ai 20mila cadaveri.
Veniamo alla visita di papa Francesco.
E’ fondamentale ricordare che a Roma -dal 4 al 25 ottobre 2009- si é svolto il secondo Sinodo Africano, a cui hanno partecipato 250 tra vescovi, laici, suore e preti. Perchè Sinodo e non Assemblea? E’ molto semplice: il Sinodo è riflessivo ecc…, ma solo consultivo! L’Assemblea -vedi quella che si svolge ogni 10 anni in America latina- è deliberativa! Un documento riconosciuto dalla Chiesa tutta, quindi attuativo per i cammini delle chiese locali. Sappiamo quanti problemi hanno creato in Vaticano l’opzione per i poveri e la Teologia della Liberazione.
L’Africa si presenta come un arcobaleno cromatico multiculturale e multireligioso, come uno scrigno di tesori culturali e spirituali, fatto da tradizioni popolari e familiari, di simboli e riti religiosi, di sapienza, memoria e folcrore.
L’Africa ha bisogno di stimoli forti per custodire la propria identità culturale e spirituale, impedendo che essa si dissolva sotto il vento della globalizzazione che soffia con forza sulle 53 nazioni che la compongano.
Sono stati oltre 150 gli interventi in aula, in un resoconto presentato ai giornalisti, emerge che la parola pace è stata evocata 402 volte. Segue il tema della giustizia che è stato evocato 345 volte. In aula si è quindi parlato di guerra (158 volte), di esorcismo (12 volte), di bambini (60 volte), di bambini soldato (4 volte). Il problema dell’Aids è stato citato 27 volte. Tra i temi principali, emergono anche la prostituzione, la violenza, le religioni tradizionali, il dialogo e l’Islam. Nelle riflessioni dei padri sinodali hanno risuonato anche parole di fede e di speranza: Amore (122 volte) e Speranza (57 volte).
Forte è stata la denuncia contro la classe politica. I politici ritengono che essere eletti significhi avere il lasciapassare per rapinare il Paese, ha denunciato l’arcivescovo di Songea-Tanzania, mons. Norbert Wendelin Mtega.
“Per i nostri politici -ha affermato- pace significa un clima tranquillo che consenta loro di rubare e godere i soldi del loro Paese. Per loro, libere e giuste elezioni significa successo nel portare le persone alle urne nella totale ignoranza dei loro diritti e delle manovre subdole dei candidati”.
Al Sinodo si è elevata forte la voce contro la stregoneria. Molta gente viene ancora torturata, perseguitata e assassinata solo a causa di sospetti infondati, fomentati dalla magia, dagli stregoni e da motivazioni personali. Non ci sono leggi per difendere queste persone oppresse, i governi tacciono e condonano, alcuni leader approfittano di ciò per montare campagne contro gli avversari politici.
Forte è stato il richiamo alla situazione di fame e di miseria in cui versa il continente. L’economia in Africa -come in ogni parte del mondo!- ha bisogno dell’etica, di un’etica amica della persona. Liberare l’Africa dalla fame è possibile a una sola condizione: che ci sia la volontà politica.
La situazione della fame nel mondo è tragica, in Africa ancor più inquietante. Complice anche la crisi mondiale, per la prima volta nella storia, quest’anno, il numero delle persone affamate ha raggiunto e superatola cifra di un miliardo, ovvero il 16% della popolazione mondiale.
In Africa, la situazione è tragica, sono 280 milioni le persone malnutrite, il 25% della popolazione.
Di fronte a questa emergenza umanitaria bisogna intervenire in fretta. Capire dove e come intervenire. Si tratta di una questione di priorità assoluta.
Viviamo nella vergogna più evidente ma nessuno ne parla: ogni anno sosteniamo l’agricoltura nostra e dei Paesi occidentali con 300 miliardi di euro, mentre per le spese militari siamo arrivato a 1.000 miliardi di euro. Ma nessuno ne parla, nessuno dice che la nostra agricoltura è gonfiata ad arte per privilegiare l’esportazione e mettere in ginocchio i mercati del Sud. Nessuno chiede una moratoria sulle armi. Ma dove sono gli occhi e le azioni della sinistra, di chi crede e predica nella giustizia e poi “pratica” attraverso leggi “privilegio”, l’ingiustizia.
Mi viene in mente l’autunno, quanto traversiamo boschi, com non vedere la loro trasformazione. Foglie sugli alberi e in caduta come fiamme incandescenti, delicati ventagli d’oro e di bronzo volteggiavano nell’aria prima di adagiarsi a terra e lasciare i rami di aceri e pioppi. Sono le foglie che cambiano la loro funzione e diventano nuova linfa multicolore per boschi, parchi e giardini. Invadendo strade e tetti.
Quando saremo pronti noi per iniziare un nuovo ciclo, un nuovo progetto. Come la natura, quando saremo pronti per affrontare nuove sfide per dare al mondo uno stare diverso, e sentire gli altri sorelle e fratelli?
Ricordiamo sempre che il cambiamento, qualsiasi cambiamento ha bisogno di me, di te!
Lo scrittore Erri De Luca (leggi sotto), precursore delle denuncie contro gli “impoveriti” e gli “sfruttati”, ci ha descritto cinque anni fa ciò di cui abbiamo fatto finta di non conoscere con l’andata a Lampedusa di papa Francesco.

“Nei canali di Otranto e Sicilia
migratori senz’ali, contadini di Africa e di Oriente
affogano nel cavo delle onde.
Un viaggio su dieci s’impiglia sul fondo.
Il pacco dei semi si sparge sul solco
scavato dall’ancora e non dall’aratro.
La terraferma Italia è terrachiusa.
Li lasciamo annegare per negare.”

Non era affatto facile andare a Lampedusa, lo aveva detto papa Francesco in un’omelia a Santa Marta, parlando dei modi di raggiungere Dio: non serve un corso di aggiornamento, aveva detto, “per toccare Dio vivo bisogna uscire per strada, Una cosa non semplice, né naturale”.

Ha fatto bene il papa a non volere né governo, né altre autorità a fare da corona alla sua trasferta; non solo perché i viaggi del papa devono tornare ad essere pastorali e non visite di Stato e vetrine dei Potenti, ma principalmente perchè noi e il nostro Stato non siamo innocenti di fronte a quelle vittime e di quelle piaghe.

Papa Francesco con le sue denunce: “viviamo la globalizzazione dell’indifferenza”, “ciò che è accaduto non si ripeta più, per favore. Chi è il responsabile di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo”. “Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Sono qui per scuotere le coscienze”, “non siamo più capaci di piangere”, come non pensare a Caino, quando il Signore chi domanda, “dov’è tuo Fratello?” Caino, risponde “sono forse io il guardiano di mio fratello?”

Quale fu la nostra risposta?

Quella della Politica?

Quella dei Partiti? Penso ad Andrea Sarrubbi, deputato del PD, dopo l’audizione di Laura Boldrini, allora portavoce dell’ONU, dove aveva denunciato che il Mediterraneo era un cimitero con 20.000 morti affogati, alla Commissione dei Diritti Umani della Camera, di cui faceva parte, si recò a Lampedusa, unico insieme a Furio Colombo. Dall’isola prima, e al suo ritorno poi, aveva parlato e testimoniato, la noscosta vergogna, conseguenza: non è stato più ricandidato!

Infine, penso al silenzio complice e vergognoso della Chiesa? Penso a ciò che ha detto ai seminaristi riuniti in Vaticano prima di partire per Lampedusa: la Chiesa del Terzo Millennio deve essere “essenziale” e “fa schifi” quel clero che non si mostra coerente con la sua missione. Frase che “Avvenire” il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, non ha avuto il coraggio di pubblicare.

Padre Zanotelli e molti vescovi africani che hanno partecipato al Sinodo, avevano proposto di andare a Lampedusa per fare una solenne celebrazione in ricordo di questa tragedia, le alte sfere vaticane (conosciamo benissimo il nome) non l’hanno ritenuto necessario.Avrebbe creato problemi al Governo Berlusconi.
Un amico sacerdote ci ha raccontato che gli emigranti di fede cattolica che salgono sulle barche della speranza, in mezzo al mare pregano recitando il Padre Nostro, e quando arrivano al liberaci dal male, aggiungono dal mare e dai Maroni.
Le nostre azioni quotidiane devono condurre all’accoglienza e non al rifiuto, all’impegno di non generare o fomentare paure contro gli stranieri attraverso l’equazione “immigrato=ladro o addiritura assassino, ma diffondere una vera solidarietà che indichi invece reciprocità di diritti e di doveri nel costruire un mondo giusto e fraterno, mediante la convivialità delle differenze, andando a capire qualisonoi veri processi di espulsione”, vera causa della fuga di milioni di poveri dai loro paesi nativi.
Pensare. Dovrebbe essere una carattristica fondamentale della persona. Ma quanto poco pensiamo al giorno di oggi! Tutti sembrano voler pensare per noi e offrirci le soluzioni già confezionate. Eppure, senza la capacità di pensare, difficilmente usciremo dalle contraddizioni in cui viviamo. Prendiamoci il tempo di riflettere, di capire il momento che stiamo vivendo. Senza questo, senza conoscere un po’’ meglio la società e i suoi meccanismi, senza domandarci dove stanno le cose davvero importanti su cui vale la pena spendere tempo ed energie, senza diventare un po’ contemplativi, senza scoprire le ricchezze nascoste in ogni persona, faremo unicamente ciò che fan tutti, che di solito coincide con gli interessi dei grandi di questo mondo.
Darsi del tempo per pensare è, dunque, il primo passo per recuperare aspetti essenziali della vita che gli impegni di ogni giorno portano a farci trascurare.
Pensare, é automaticamente un: no, un basta all’indifferenza! Mi scuso per la lunghezza.

Quarrata, 8 luglio 2013
Antonio Vermigli

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