Lettera Rete di Quarrata – maggio-giugno 2018

Carissima, carissimo,
sono arrivato di nuovo in Brasile, a San Paolo, sabato 5 maggio, ho trovato una città dove si stende una cappa di tristezza e di abbandono che si può leggere nella maggioranza delle persone che ho incontrato.
Il Golpe parlamentare-giuridico-mediatico, -appoggiato dagli organi di sicurezza degli USA-oggi ha chiuso l’orizzonte a questo Paese che aveva incontrato il “sole” con i governi Lula e Dilma, liberando 45 milioni di brasiliani dalla povertà, da esclusi a inclusi!
Nessuno ha saputo dirmi con esattezza dove sta andando il Paese. Ci sono nuove leggi votate che prevedono impunità ai politici e agli attuali 50.000 giudici. In questi giorni, l’attuale  presidente golpista Temer è stato ancora una volta denunciato per aver ricevuto un milione di dollari di tangente, ma non è preoccupato, controlla il Parlamento.
Il segnale che sale alle cronache è l’aumento della violenza con un numero di vittime pari ad un paese in guerra. Le classi povere, adesso lo sono molto di più a causa dei tagli ai programmi sociali che l’attuale governo Golpista ha effettuato: oltre l’80%.
Il Brasile era uscito dalla fame, adesso c’è di nuovo dentro. Le sei persone più ricche del Paese hanno l’equivalente di 100 milioni di brasiliani, quasi la metà della popolazione.
L’applicazione del liberismo più radicale da parte della nuova classe dirigente installatasi nello Stato, sta producendo fame e miseria. L’aumento della violenza nelle grandi città è proporzionale all’abbandono a cui sono state sottoposte. Gli organismi responsabili della sicurezza non vanno mai all’origine del problema. Il nodo che non vogliono affrontare, è nella nefasta diseguaglianza sociale, nell’ingiustizia sociale, storica e strutturale su cui è stata costruita la società brasiliana.

La diseguaglianza cresce a vista d’occhio. O si fa giustizia, una giustizia che comprende la Riforma Agraria, Tributaria, Politica e dei sistemi di sicurezza, oppure crescerà la violenza  in tutto il Paese. È presente l’ipotesi che un giorno gli emarginati delle grandi periferie abbandonate si ribelleranno a causa della fame e della miseria e decideranno di assaltare i supermercati e i centri urbani, questa evenienza potrebbe innescare una violenza senza fine. Sarebbe motivo per avviare una forte repressione da parte dello stato golpista, appoggiato dai mass-media conservatori e da un esercito ai cui comandanti “prudono le mani”. Ciò non risolverebbe ma aggraverebbe la situazione.
In questo quadro come alimentare la speranza in Brasile se non con un radicale cambiamento dell’economia. Non è la società che deve servire l’economia, ma l’economia servire la società. Questo è il grido che sale dai Movimenti popolari e dai partiti di sinistra. Bene ha detto in questi giorni l’anziano vescovo profeta, dom Pedro Casaldaliga, parlando di speranza: ”Portatori di speranza sono quelli che camminano e si impegnano a superare le situazioni di barbarie. Questi cambiamenti mai verranno dall’alto né dall’attuale governo; verranno dal basso, dai movimenti sociali organizzati e con piccoli frammenti di partiti impegnati per il benessere del popolo”.
Papa Francesco, a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia) salutando i movimenti latino-americani con cui si era incontrato ha coniato tre espressioni, riassunte in tre “T”: Terra per produrre; Tetto, per ripararsi; Lavoro (trabalho) per guadagnarsi la dignità lavorando. Ha lanciato una sfida: “non aspettatevi nulla dall’alto. Siete voi stessi i profeti del nuovo, organizzate la produzione solidaristica, specialmente biologica, reinventatevi la democrazia  e seguite questi tre punti fondamentali: economia per la vita e non per il mercato; giustizia sociale perché se questa mancherà non ci sarà pace sociale; e attenzione alla Casa Comune, la Madre Terra, senza la quale nessun progetto avrebbe senso”. La speranza nasce da tutto questo impegno di trasformazione.
La speranza non è una virtù qualsiasi, una fra le tante. Essa è molto di più, è l’insieme di tutte; è la capacità di pensare il nuovo; è la capacità di sognare un altro mondo possibile, utile e necessario; il coraggio di progettare utopie; se pur umiliati, ci faccia rialzare per riprendere il cammino.
La speranza è pratica, si mostra nel fare, nell’impegno a trasformare, nel coraggio di superare ostacoli e affrontare i gruppi avversari. Questa speranza non morirà mai!
Sono le dieci e mezza del mattino, una massa di uomini e’ in fila all’angolo di una strada. La fila continua per altri cento metri dove si apre una grande porta, provo a contarli, rinuncio. Mi trovo di fronte al Centro San Martino da Porres, dove ogni giorno vengono preparate 350 colazioni-café de amanha,  900 pranzi e 400  merende. Osservo una massa di uomini con sacchetti al seguito dove conservono le proprie cose. Parlo con Carlos, indossa  un paio di ciabatte, una maglietta dai tanti colori, tanto deve essere il tempo dell’uso, ha perso il lavoro da quasi un anno, perso la casa non potendo pagare l’affitto, è falegname da 26 anni. Vive sotto il viadotto di Belem che dista 500 metri dal centro. Sono  un centinaio accampati li. Inizio a provocarlo facendogli una domanda politica, la sua risposta ferma e decisa evidenzia che questo attuale governo sta costringendo milioni di persone a ritornare alla condizione di povertà esistenti prima di Lula. “Lui ha pensato a noi operai, ai poveri, questo governo si disinteressa di tutto…”. Entro nel Centro dove mi attende Sandro il coordinatore, mi spiega che per soddisfare le esigenze di tutti, devono iniziare a dare da mangiare alle 10 e 30. Sei turni, 150 persone per volta. Terminano alle 16, si fa per dire perchè dopo mezz’ora inizia la merenda. L’associazione che vi opera: Nossa Senhora do Bom Parto, è in continua lite con il Comune perchè stanzia un aiuto solo per 500 pasti al giorno. Sandro, rabbioso, evidenzia la lunga fila all’esterno e mi dice: “come possiamo dire a metà di loro che non sono contabilizzati dal Comune e che non avrebbero diritto al pasto, quando il Comune stesso dovrebbe provvedere?” Continua: “è una lotta continua con le istituzioni, ma grazie all’aiuto di tanti (anche del nostro gruppo), riusciamo a sopperire a tutti questi bisogni. Pensa che tre volte la settimana tre psicologhe e due assistenti sociali passano ore ad ascoltare in fila le loro storie, nella stragrande maggioranza tutti hanno perso il lavoro”. In un angolo della grande sala dove si consumano i pasti, nella parte finale, sosta una autoambulanza attrezzata con una sedia da dentista, dove vari dentisti vanno a farvi volontariato, anche un nostro caro amico dentista ha aderito. A lato dell’autoambulanza ci sono alcuni tavoli dove alcune mamme e i loro bambini hanno un posto riservato. Mi avvicino e facendo il buffone richiamo l’attenzione di Chico, gli chiedo l’età, ha 4 anni, sua madre a lato si chiama Neury. Le chiedo da dove venga: hanno perso la casa, anche lei vive con Chico sotto il viadotto, suo marito è tornato nel nord-est dai parenti per cercare un lavoro.

Queste povere storie, storie di tanti, di troppi, evidenziano la decadenza in cui è caduto e continua a cadere il Brasile.
Chi udirà il grido di speranza e di liberazione che sale da queste umili persone, Carlos, Chico e Neury, impoverite ma ricche di umanità e voglia di vivere.
Fino a quando dovranno portare il peso e la crudezza della loro vita? Quando apriremo gli occhi, la nostra ottusità di mente e il nostro cuore all’altro
Quando sostituiremo la condanna e il giudizio con la misericordia, il possesso della verità con il dialogo, l’egoismo con la gratuità e la nostra assenza di sensibilità con la passione?
Antonio

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