Metafore – di Erri De Luca

erridelucaDi sera accendo il fuoco nel camino, uno dei gesti più antichi della specie umana. Irradia luce, scalda, non ha corpo e non proietta ombra. Mentre lo guardo divorare il legno, passano dei pensieri suscitati dalle sue forme mobili.
Dante nel canto 26 dell’Inferno incontra Ulisse trasformato in fuoco e così scrive: ”Lo maggior corno della fiamma antica”. Dove la metafora corrente vede una lingua di fuoco, lui sceglie di vedere un corno, dal cui interno sta per uscire una voce.
Il fervore poetico insiste poco dopo: ”pur come quella cui vento affatica”. Sa bene che il vento aizza la fiamma, la rinforza, ma vuol vedere invece uno sforzo, una fatica nei guizzi del fuoco sbattuto dal vento.
Queste metafore afferrano l’immaginazione di un lettore, dilagano fino alla visione.
Studiati al liceo, mandati per obbligo a memoria, quei versi sono rimasti conficcati nella percezione. Il fuoco che accendo di sera nel camino è lo stesso che anneriva le caverne della preistoria, veniva rubato agli dèi da Prometeo e scatenava metafore negli occhi di Dante. Quello nella mia cucina non ha corni dai quali escono voci, versi, però ha bisbigli, schiocchi, sputi di scintille, brontolii. Se formano un linguaggio, non lo intendo.
Al mattino ne raccolgo la cenere e la restituisco agli alberi, alla terra.

Metafora è alla lettera un mezzo di trasporto, il verbo greco indica spostare, trasferire. Si è poi allargato al passaggio da un senso letterale a un altro. Quando porto la cenere dal piano del camino fino al piede di un albero, io svolgo la funzione di metafora, mezzo di trasporto.
Molte migliaia di persone decidono di chiamarsi sardine e fare massa critica sulla superficie delle piazze. Affiorano e brulicano come le sardine sul pelo dell’acqua per confondere il tonno che si aggira sotto.
Quelle molte migliaia sono la pubblica metafora di un paese sprovvisto di sinistra. Non si scioglieranno finché non se ne va il tonno.

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