Primo fine settimana del 2017: Israele ha demolito le case di 151 palestinesi, circa quattro volte la media dello scorso anno

Amira Hass – 7 gennaio 2017 Haaretz

L’amministrazione civile dell’IDF [l’esercito israeliano] sta adempiendo alla promessa di Netanyahu di demolire per vendetta le case degli arabi.

La promessa del primo ministro Benjamin Netanyahu ai coloni dell’avamposto illegale di Amona di applicare la legge “equamente”, demolendo le case di arabi, sta essendo pienamente rispettata.

Il numero di edifici palestinesi demoliti nella prima settimana del gennaio 2017 è quasi quattro volte maggiore della media settimanale nel 2016: 20 strutture. Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nel 2015 la media era stata di 10 alla settimana.

Nell’area C, sotto totale controllo civile e militare israeliano, tra lunedì e giovedì l’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano ha demolito 65 strutture e 7 cisterne per la raccolta di acqua piovana in comunità palestinesi. Il Comune di Gerusalemme ha demolito altre due case a Gerusalemme est. Circa 151 persone, compresi 90 bambini, vivevano negli edifici che sono stati demoliti.

Lunedì, il giorno in cui la commissione Costituzione, Legge e Giustizia della Knesset [il parlamento israeliano. Ndtr.] ha discusso l’annessione a Israele della cittadina di Ma’aleh Adumim (a est di Gerusalemme), l’amministrazione civile e l’esercito israeliano hanno demolito dodici capanne in legno e lamiera – di cui otto utilizzate come abitazioni – in due comunità beduine della tribù Jahalin, a sud della colonia; tre baracche a Bir al-Maskub e nove a Wadi Sneysel. In totale 84 persone, 68 delle quali bambini, sono rimaste senza tetto nel giro di poche ore.

Lo scorso agosto l’amministrazione civile ha demolito strutture in quelle comunità. Ma i residenti non hanno un altro posto in cui vivere e sono state obbligate a costruire nuove baracche. Negli anni ’90 dozzine di famiglie della tribù Jahalin furono espulse dalla zona per consentire l’espansione della colonia.

Martedì l’amministrazione civile ha demolito 49 strutture a Khirbet Tana, nel nordovest della valle del Giordano: 13 strutture abitative, 9 gabinetti mobili e per il resto costruzioni agricole di vario genere. Ventotto adulti e 22 bambini hanno perso la casa a causa delle demolizioni. Altre 71 persone sono state danneggiate dalla distruzione delle strutture agricole.

Circa 40 famiglie (250 tra uomini e donne) vivono in quell’antico villaggio di grotte a est del villaggio di Beit Furik. In quattro precedenti incursioni lo scorso anno l’amministrazione civile ha demolito 150 baracche, ovili, tende e varie strutture igieniche – così come una scuola che è stata costruita grazie a fondi europei. Durante l’attacco di martedì, è stato anche consegnato un ordine di interruzione dei lavori per la nuova scuola, che sta per essere costruita, di nuovo con donazioni europee. L’Alta Corte di Giustizia [israeliana] ha respinto un ricorso degli abitanti di Khirbet Tana contro l’ordine di abbandonare definitivamente le loro case, ma i residenti hanno semplicemente costruito nuove abitazioni e una scuola perché si rifiutano di abbandonare il villaggio in cui le loro famiglie hanno vissuto molto prima del 1948 e prima che l’IDF dichiarasse la zona servitù militare.

Mercoledì una consistente forza militare ha fatto un’incursione sulle terre del villaggio di Tekoa, a sudest di Betlemme. Qui i bulldozer dell’amministrazione civile hanno demolito sette cisterne per l’acqua piovana e altre tre rimesse per scopi agricoli. Il capo del consiglio di villaggio ha raccontato ad Haaretz che una delle cisterne era stata scavata 25 anni fa, mentre le altre erano più recenti. Circa 180 persone dipendono da quelle cisterne per la loro vita. E giovedì mattina l’amministrazione civile ha demolito una struttura agricola nel villaggio di Jinsafut, a est di Qalqiliyah, in Cisgiordania.

A metà dicembre l’Amministrazione Civile ha detto ad Haaretz di essere in possesso di 11 macchine agricole, per lo più trattori, confiscate a contadini palestinesi dopo che l’IDF ha trasformato le loro terre nella zona settentrionale della valle del Giordano in servitù militare.

I palestinesi devono pagare all’Amministrazione Civile un’ammenda di qualche migliaio di shekel [1.000 shekel= 247 €. Ndtr.] per il rilascio di ogni trattore, e impegnarsi a non commettere una seconda volta l’ “infrazione”. Nel 2016 solo due trattori sono stati restituiti, previo pagamento dell’ammenda. Oltre ad uso agricolo, i trattori servono anche a trasportare acqua agli abitanti ed ai loro armenti dalle sorgenti che si trovano a qualche chilometro dalle stalle. Israele non consente alle comunità palestinesi residenti in zone sotto il suo controllo di collegarsi alle infrastrutture idriche.

Il 21 dicembre un altro trattore è stato confiscato ai contadini nel nord della valle del Giordano, dopo che avevano tentato di raggiungere le loro terre sul lato orientale dell’autostrada 90 (chiamata come quel sostenitore del trasferimento della popolazione palestinese, l’ex ministro Rehavam Ze’evi [del partito di estrema destra Modelet e assassinato nel 2001 da un palestinese. Ndtr.]).

Negli ultimi tre mesi del 2016 l’IDF ha condotto 20 esercitazioni di addestramento con proiettili letali sulla terra delle comunità palestinesi nella zona settentrionale della valle del Giordano. Secondo l’organizzazione israeliana dei diritti umani B’Tselem, queste esercitazioni significano che a circa 220 persone – compresi circa 100 minori delle comunità di Al-Ras al-Ahmar, Khirbet Khumsa e Abzik – è stato ordinato di lasciare temporaneamente le proprie case in 19 diverse occasioni.

B’Tselem ha segnalato che nel villaggio di Al-Farisiyah, che non è stato evacuato, l’esercito ha proibito agli abitanti di portare al pascolo le greggi nelle terre circostanti, poi si è addestrato su terreni coltivati e vi ha persino sistemato bagni provvisori. Inoltre le truppe hanno dissodato parte delle terre dell’area per rendere più agevole il passaggio dei mezzi militari, e in questo modo hanno provocato ulteriori danni ai terreni agricoli.

L’ufficio del portavoce dell’IDF ha detto ad Haaretz che “le zone di servitù militare, soprattutto nella valle del Giordano, e in generale in Giudea e Samaria, sono state dichiarate tali con un’ordinanza dell’autorità del comando militare della regione fin dagli anni ’70, in base a necessità di sicurezza. Gli abitanti che si trovano in quelle zone di addestramento lo stanno facendo in violazione della legge.

“Prima di ogni addestramento militare, si prendono iniziative con lo scopo di evitare danni fisici o alle proprietà, tali come controlli a vista, pattugliamenti, piazzando protezioni e dialogando con gli abitanti della zona attraverso l’Amministrazione Civile. Durante le esercitazioni, agli abitanti viene richiesto di lasciare la zona delle manovre. Le attività menzionate al riguardo sono state approvate dalla Corte Suprema in richieste che sono state presentate in modo simile,” ha affermato l’ufficio del portavoce dell’IDF.

Martedì 20 dicembre 2016 Dafna Banai, di Machsom Watch [associazione di pacifiste israeliane che controllano il comportamento dei militari nei Territori Occupati. Ndtr.] ha riferito: “Tutti i sentieri che collegano la valle del Giordano palestinese alle località di Aqraba, Beit Furik e Tubas, in Cisgiordania, sono ora bloccati da mucchi di terra, fossati, enormi massi e cancellate chiuse. Persino quelli aperti negli scorsi anni sono stati ora nuovamente interrotti.”

“Solo il cancello di Gokhia, che separa la valle del Giordano da Nablus e Tubas oggi è aperto (da domenica, secondo gli abitanti del posto). Tutto ad un tratto non ci sono “ragioni di sicurezza”, né “pericolo per i palestinesi perché l’area è utilizzata per le manovre militari” – da sempre, quando le manovre sono in corso, il cancello è aperto (per consentire il libero passaggio ai mezzi militari senza perdita di tempo ogni volta che deve essere aperto o chiuso). Nei pressi del cancello si vedono tre veicoli blindati e soldati annoiati. Si sta di nuovo svolgendo un’esercitazione militare nella valle del Giordano. Siamo entrate ad Al-Ras al-Ahmar, ma non abbiamo potuto andare oltre il primo accampamento a causa del fango spesso. Stava piovendo a dirotto quella mattina e tutta la regione si è trasformata in un grande pantano,” ha scritto.

“Da mezzogiorno alle 16,30 del pomeriggio la strada che sale a Tyassir ed il resto della Cisgiordania sono state interrotte a causa delle manovre militari. Si vedevano lunghe file di veicoli palestinesi da Al-Malih, dove due soldati annoiati stavano bloccando il traffico. I soldati non avevano nessuna idea di quando sarebbe stata riaperta la strada,” ha raccontato Banai.

“I palestinesi, per lo più maschi, lavoratori a giornata sulla strada di casa dal loro lavoro nelle colonie, stavano ad oziare sulla strada, fumando. Qualcuno ci ha domandato di chiedere ai soldati di lasciarli andare a casa – qui, là, a 200 metri di distanza, a Al-Burj. Ma i soldati sostenevano di avere l’ordine di non lasciar passare nessuno, senza eccezioni. Eravamo anche in contatto telefonico con Mahdi, che si trovava sull’altro lato (occidentale) del blocco, ed ha parlato di lunghe code in attesa anche là. Peggio di tutto, bambini dell’asilo e delle elementari (come Rina, di 5 anni) hanno dovuto aspettare sulla strada per 4-5 ore! Gironzolavano in mezzo ai carri armati israeliani, chiedendo un po’ di cibo ai soldati; non avevano mangiato niente dalla mattina,” ha scritto.

(traduzione di Amedeo Rossi)

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