Cile: allarme per i prigionieri politici al tempo del Covid-19 – di David Lifodi

originalmente pubblicato ne La Bottega del Barbieri

Condannati alla prisión preventiva a seguito delle proteste che dallo scorso ottobre hanno coinvolto tutto il paese, i prigionieri politici cileni si trovano nelle carceri in una situazione dove mancano le condizioni igieniche sanitarie minime per far fronte al virus. Intanto il presidente Piñera, tramite l’indulto ai condannati “a bassa pericolosità”, prova a far ottenere benefici ai responsabili delle violazioni dei diritti umani all’epoca del regime militare pinochettista.

di David Lifodi

Non ne parla quasi nessuno, eppure la realtà dei prigionieri politici cileni, all’epoca del Covid-19, è sempre più drammatica ogni giorno che passa. Sono molte le persone in una situazione di prisión preventiva, uomini, donne, ma anche molti minorenni, gran parte dei quali a contatto anche con i detenuti comuni. Arrestati a seguito dell’estallido social dello scorso mese di ottobre, contro il governo del presidente Piñera, i detenuti sono costretti a fare i conti con pesanti misure cautelari, nonostante l’allarme lanciato da numerose organizzazioni per i diritti umani, in particolare dall’avvocato Nicolás Toro.

In un’intervista rilasciata a Sputnik, l’avvocato denuncia che contro i prigionieri politici è stata applicata la Ley de Seguridad del Estado, una legge che risale al 1958, varata dal regime dell’allora presidente Carlos Ibañez a seguito delle enormi manifestazioni di piazza nei suo confronti, da cui in seguito derivò lo stato d’assedio e l’invio dei militari nelle strade del paese, un assaggio di ciò che sarebbe accaduto dopo l’11 settembre 1973. Gran parte della magistratura cilena, pur sapendo che le persone arrestate hanno partecipato a manifestazioni di carattere politico, ha deciso di applicare verso di loro le leggi di solito utilizzate per i reati comuni.

Tra le migliaia di casi allarmanti vi è quello della giovane Paula Cisternas Armjo, l’unica donna reclusa a Santiago del Cile. Veterinaria di 22 anni, si trova in carcere dal 16 dicembre 2019, quando fu arrestata da oltre 50 agenti, appoggiati dall’intervento di numerosi furgoni della polizia, come se si trattasse di una pericolosissima terrorista. Per lei l’accusa è quella di aver appiccato il fuoco ad una filiale del Banco Estado, il 6 novembre 2019, nell’ambito di una delle tante manifestazioni antigovernative. In realtà, come risulta da foto e video, non si consumò alcun incendio, ma vi fu solo una piccola fiammata. Casi del genere, con l’applicazione di pene spropositate per la maggior parte dei militanti sociali cileni, sono divenute la normalità.

La Red de Cabildos Penitenciarios, l’Observatorio Social Penitenciario e 81 Razones por Luchar, hanno parlato di “giustizia cieca” e sottolineato che la situazione più allarmante è stata quella riscontrata nel carcere di Puente Alto, come evidenziato dalle associazioni in una lettera inviata al ministro della Giustizia Hernán Larraín.

Nella casa di reclusione di Puente Alto si sommano il sovraffollamento carcerario e le inesistenti precauzioni a livello sanitario e alimentare, aspetti assai rischiosi e propizi alla facile diffusione del Covid-19. Inoltre, la diffusione del virus a Puente Alto e in tutte le altre carceri, avrebbe un effetto devastante non solo per i reclusi (politici e comuni), ma per il sistema sanitario di tutto il paese. Il Ministero della giustizia cileno ha risposto condividendo l’urgenza di prendere provvedimenti immediati, ma al momento detenuti e polizia penitenziaria attendono ancora mascherine sanitarie, l’accesso all’acqua e al sapone, le condizioni minime per far fronte al dilagare del virus.

La Red de Cabildos Penitenciarios insiste anche sull’urgenza di garantire ai detenuti il compimento dei loro diritti e lamenta il ritardo del Ministero della giustizia nell’occuparsi della critica situazione delle carceri del paese. Nelle ultime settimane si è parlato di Indulto General Conmutativo , ritenuto però insufficiente soprattutto perché sarebbe applicato soltanto ad un numero minimo di persone.

Nel frattempo si è mossa anche la Agrupación de Familiares de Ejecutados Políticos, che ha scritto al presidente Piñera, insieme all’Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos, per chiedere che non venga autorizzato l’indulto ai condannati per crimini di lesa umanità, responsabili delle peggiori violazioni dei diritti umani all’epoca del regime militare di Pinochet. “Coloro che sono stati responsabili di aver fatto scomparire un’intera generazione non possono accedere a benefici come l’indulto con la giustificazione dell’emergenza sanitaria dovuta al corona virus: si tratterebbe di un insulto ai desaparecidos e a tutti coloro che sono stati arrestati e torturati all’epoca del regime militare”. Ancora più inquietante è che a sollevare questa proposta sia stato il ministro dell’interno Hernán Larraín, noto per essere stato tra coloro che hanno sempre protetto la famigerata enclave nazista Colonia Dignidad, luogo di gravi violazioni dei diritti umani all’epoca del pinochettismo.

Prima di tutto, dovrebbero essere liberati almeno coloro che sono stati arrestati per reati minori a seguito dell’estallido social iniziato il 18 ottobre 2019.

Grazie a EcoMapuche per l’invio del video sul carcere di Puente Alto realizzato dall’Observatorio Social Penitenciario e per le notizie sui prigionieri politici cileni

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l’Università di Siena. Nel mio lavoro “ufficioso” collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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