Vorrei che la chiesa fosse un albero – di Luca Soldi

Caro Massimo, mi permetto, di raccontare questo nostro esser stati lontani da Vicofaro per queste lunghe settimane di Coronavirus.
Abbiamo visto, sofferto e gioito per quello che avveniva lì, da Te, da tutti voi che siete impegnati, nel nome del bene assoluto, nella cara e bella Pistoia. Abbiamo però temuto e temiamo ancora che certi istanti possano davvero essere gli ultimi.

Qualcuno, ancora oggi, si aspetta che Vicofaro, la comunità di Vicofaro, chieda perdono per aver tolto la “pietra al collo” a questi fantasmi, ma ancora una volta si sbaglia.
Abbiamo visto cosa avviene nei luoghi, nelle stanze, dove gli egoismi dominano sui valori, dove si rimane immobili verso il niente. Ma ancora di più abbiamo visto, appena abbiamo trovato il coraggio di aprirci, cosa succede in questo luogo dove il bene continua a vincere su tutto.


Dove si scopre la continua gioia di donare gratuitamente.
Dove avviene la bellezza senza che ci sia calcolo. Lo si vede in te, lo si sente e questo è evidente e lo si vede in quei volontari che testardamente, ancora di più in questi mesi più difficili, amorevolmente, sono riusciti a stare vicini a Vicofaro e Ramini.
Non basta l’amicizia, il rispetto, la stima, il senso della solidarietà a spiegare questa loro, questa vicinanza, questa dedizione, caro don Massimo.
Non basta a spiegare il valore dell’impegno quotidiano.
Non basta sapere cha questa disponibilità non nasce certo dall’adesione ad una converticola come qualcuno paventa, oppure ad un gruppuscolo di pericolosi sognatori, come altri dicono.
Qui, non c’è palcoscenico, non arrivano entrature per fare carriera.
Qui non esiste nessun compenso che saturi il proprio ego. C’è ben altro, c’è qualche cosa che piacerebbe far toccare a quanti, proprio nella parrocchia, dicono di non ritrovarsi più.
C’è, fra quanti hanno resistito nell’aiuto, piuttosto l’adesione a quei dettami che limpidamente scorrono nella Parola di un Vangelo e che si fanno esperienza viva di Luce. L’umanità, qui si fa Chiesa.
E’ la Chiesa dei poveri è la Chiesa dei Beati. Non è Chiesa contro, non vuole esserlo, non potrebbe esserlo.

Ed in questa Vostra esperienza e non mi permetto di enfatizzare, caro Massimo, si riassume il senso dell’esser Cristiani.
Di quella carità di cui proprio Pistoia è intrisa nella sua storia, con quel ceppo miracolosamente fiorito durante l’inverno e questa volta germogliato da tempo a Vicofaro.
Nel segno di quello stesso appello che il vescovo Fausto volle fare suo indicando le linee di indirizzo della Diocesi circa quel “ grido che vuole risvegliare la coscienza di ognuno di noi, un grido che ci chiama alla responsabilità, che ci domanda del sangue del fratello.
E non possiamo rispondere come Caino: “son forse io il custode di mio fratello?”.
Noi- disse in quella occasione il vescovo di Pistoia- siamo i custodi dei nostri fratelli e questa consapevolezza deve essere forte in noi”.
Ci domandiamo, ancora oggi, caro Massimo, se questo appello sia caduto nel vuoto.
Se tutto quello ch’è accaduto dopo, se disattendere quell’invito come hanno fatto in tanti, e certo non solo a Pistoia, sia stato colpa grave oppure averla condivisa, accolta sia finito per diventare il peggiore dei mali.
Abbiamo ammirato di come l’obbedienza non possa esser ancora considerata virtù. Ma non certo nella sfida, nella volontà di prevaricare. Piuttosto nel senso di aderenza a quella virtù della carità che si fa ispiratrice ed ordinatrice delle altre, nel segno della gratuità e del vero amore realizzato in nome di Cristo.
Ma troppo spesso, di fronte a tutto ciò, si è voluto rispondere con un fronte disposto ad un rinnovato clima di scontro cercato, trovato ed alimentato.
Ecco lo scandalo per le troppe presenze, per aver accolto chiunque bussava, per la confusione, per quei soggetti a rischio lasciati consapevolmente sulla soglia della Chiesa, per le malattie inventate. Ed infine, caro Massimo, ecco lo scandalo per quel prete che sbatte in faccia a chi accusa, la fragilità di una Fede, quella si davvero povera.
E da sole, le drammatiche vicende del Covid, non servono per raccontare quanto poca sia stata l’attenzione, di chi ambisce a definirsi primo cittadino, verso il proprio territorio.
Ma oltre a lui, ben pochi, da quel che si è visto, si sono accostati, anche solo a vedere da lontano cosa accadeva, oppure per rendersi conto di quali erano i bisogni, le necessità che si aggiungevano. Pochi hanno provato a costruire ponti.
Ben troppi, ahimè, hanno cercato nuovi scandali, nuove vergogne e questo usando la forza dei media, delle nuove calunnie, delle false prediche, della volontà di impegnarsi ad alimentare la pandemia della paura, dell’odio.
Quanto sarebbe stato semplice per certe persone, per certi politici importanti, anche un gesto, anche portare, per esempio e nell’esempio, quelle mascherine che potevano rendere più tranquilla la zona?
Quanto sarebbe stato più corretto ed umano non alimentare la campagna di stampa che ha voluto fare della Chiesa di Vicofaro, un vero lazzaretto?
Quanto sarebbe stato evidenza di lungimiranza e di attenzione, per tutti, il provare ad immergersi nelle questioni con spirito libero dalle faziosità?
Piuttosto si è voluto proferirsi come risolutori proponendo, indicando, da lontano, come causa del male assoluto questo santuario delle coscienze che invece si offre, donato, al cuore stesso del senso di Misericordia.
Nessuna intenzione di indicare Vicofaro come luogo della perfezione. Lo sanno bene i volontari, lo sai bene anche Te caro Massimo, non c’è perfezione qui come non può essercene in ogni ospedale da campo che davvero deve portare avanti la missione di salvare tutti i feriti che arrivano dal campo di battaglia e non solo i più forti.
E nella chiesa di Vicofaro c’è la consapevolezza di esser in un luogo di emergenza che risponde non ai capricci di qualche ben intenzionato ma alle mancanze gravi ed intollerabili di una società intera che non vede ed oltretutto non comprende.
Le critiche sono possibili, doverose, spesso utili servono a spingere verso ulteriori passi di crescita, di comprensione e condivisione ma quando cerca di vincere la faziosità, c’è solo devastazione, tutto viene travolto.
Ma poi lo sappiamo tutti, non esistono luoghi di perfezione quando la Chiesa si mischia con l’odore del gregge, come ci hanno insegnato tanti grandi Pastori che ai profumi degli incensi hanno preferito la contaminazione del Bene.
Lo sai bene don Massimo, per i pensieri, per i dolori di certe lontananze, per le difficoltà a far capire, per le severità di certi ambienti che ancora oggi non comprendono come Vicofaro non sia rivale, ma piuttosto necessaria e di complemento ad un mondo che appena tocca i temi dell’accoglienza sembra trovare solo asprezze.
Ce lo hai raccontato tante volte, di quelle fatiche, di quelle difficoltà,
delle moltitudini di critiche che però non hanno mai fatto vacillare il senso di esser Chiesa, non di frontiera, non sul baratro del precipizio, ma piuttosto di rispetto, di adesione ai principi dettati dello stesso Vangelo, agli inviti del Santo Padre, fino ai consigli amorevoli di quanti, pur da lontano, si sono fatti presenti nel sostegno.
Tutti accomunati e senza mai negare quel sentimento che può esser solo di profondo amore verso ognuno di questi nostri fratelli che sono passati dalle miserie dei luoghi di nascita, a quelle dei devastanti passaggi nel deserto, delle barbarie nei lager libici.
Della lotteria in quella traversata del nostro mare, di quelle odissee mai uguali.
Di quegli sbarchi, del cammino verso la loro “amerika”, degli sfruttamenti, dei caporali, dei lavori chini sulla terra, delle mafie pronte a mangiare anime e corpi.
Sì, Vicofaro è lì, al fianco, nel sostegno di questi fratelli, di questi figli, qualcuno più guascone di altri, qualcuno più irruento di altri, ma tutti irrimediabilmente affamati ancora prima che di un piatto di riso o di un giaciglio, di quella umanità che in altri luoghi non hanno mai trovato.Come ben pochi hanno compreso a Vicofaro non c’è nessuna intenzione di far precipitare tutto in una deriva, verso un’altra strumentalizzazione che riporta alla mente una frase di un’altro grande Padre, di quel Fratello, Arturo Paoli che rispondendo alle accuse di chi non vedeva di buon occhio lo stare dalla parte giusta, l’interpretare la Parola, affermava: “Nessuno dica mai che difendo i poveri nel nome del bolscevismo”.
Non c’è intenzione di trasformare in luogo partitico, non c’è volontà, non può esserci volontà di uso, per consenso partitico, di Vicofaro.
Quanti hanno responsabilità nella città chiedono il prostrarsi di fronte alla necessità del quieto vivere. Ma non conoscono, non capiscono, non hanno mai accettato di farsi contaminare, dal senso del Bene. Vogliono solo appropriarsi della missione istitutrice della Chiesa.
Del disagio, per una parte della Parrocchia, hanno ignobilmente fatto arma di proselitismo, questa volta si, di settarismo.
Piuttosto che accompagnare, spiegare, sostenere, intervenire con la forza politica di chi indica magari un compromesso, queste forze, hanno scelto di gettare la comunità, i volontari, don Massimo, in una zona grigia, nel migliore dei casi, nella perdizione eterna, nel peggiore.
Le istituzioni politiche, con il sindaco, prono a cavalcare le peggiori istanze, non sono riuscite a comprendere, anzi hanno scelto questo luogo interpretandolo come ricettacolo del male. In questo, altri, che avrebbero avuto da reagire, invece come bene abbiamo visto, hanno chiuso gli occhi e forse hanno provato più di un sottile brivido di piacere, al sortire di certe esternazioni, di certe azioni concrete.
Ma viene da domandarsi, caro Massimo, ancora si pensa, si spera che questo Santuario dell’Accoglienza possa esser cancellato?
Ma come può esser che si cancelli quello che non si vuol vedere?
Qualcuno autorevolmente si inarca e ricorda che si è passato la parte, ma di fronte al valore del Bene come può la propria ambizione galleggiare sulle esistenze di questi scartati?
Si, tutto pare ridursi ad un vergognoso accanirsi sul colore della pelle che fa comprendere anche nella nostra Piana quale può esser la capacità a conoscere il senso del proprio cammino.
Si è detto di strutture adatte e capaci, si è parlato di professionalità, si è trattato con arguzia di questo luogo. Articoli, o meglio titoli di articoli, hanno portato allo scontro
Dotte analisi hanno illustrato con sapienza il senso dell’odio relegando la gratuità, la prontezza, il valore dell’esser ospedale da campo del nostro tempo, a inutili voci fuori campo. Questo mentre saltavi un pasto, ti mettevi in fila con loro, macinavi chilometri con Doriano che elargiva un sorriso e distribuiva il rimprovero a chi perdeva il senso della propria responsabilità.
Ecco perché la colpa di aver esagerato, di aver fatto il possibile per non aver emarginato non il problema, ma la soluzione, ha nomi identificabili nei responsabili istituzionali della città.
La mancata presenza del sindaco della città al tavolo di lavoro ha indicato chiaramente quali fossero gli indirizzi e quali fossero i bersagli diretti ed indiretti.
E mentre desolatamente i temi, i grandi temi di Pistoia sono stati fatti svanire con il tentativo di usare strumentalmente Vicofaro, alle genti, tutte le genti, è stato reso evidente come accanirsi su quella Chiesa poteva esser l’unico modo per tenere alto lo scettro di Pistoia. Semplicemente, banalmente, dividendo, mantenendo ben vive quelle divisioni che han fatto cadere Pistoia nel baratro.
Tornano alla mente le parole che don Luigi Ciotti, il fondatore del Gruppo Abele, di Libera che due anni fa, proprio a Vicofaro, ricordò non solo ai presenti una frase che oltrepassò le mura, l’attraversò letteralmente, ancora di più perché a sua volta proveniva dalla voce da un umile e semplice semplice parroco della periferia milanese, Don Angelo Casati che ebbe a dire ai suoi: “Vorrei che le chiese fossero come un albero, che non chiede agli uccelli da dove vengono o dove vanno, ma offre loro ombra e cibo, lasciando poi che volino via”.
È questo in fondo, il senso di questo luogo, il senso dell’impegno di don Massimo e di tutti volontari di Vicofaro; offrire riparo, rifugio a quelli che riparo, rifugio e magari un sorriso, non lo hanno trovato che rare volte.
Ma quelle fronde disturbano, quei rami rischiano di spezzarsi perché sono gravati da un grande peso ed ecco il senso di quel cercare le soluzioni che facendo ritrovare tutti insieme, possono, devono, riappacificare con la consapevolezza per quel senso dell’umanità che fino ad oggi non si è voluto conoscere.Nel segno della corresponsabilità che ci coinvolge tutti.
Nel segno, caro parroco di Vicofaro, caro parroco delle nostre piccole coscienze, del Bene che tutto riesce a vincere.

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