Astinenza – di Erri De Luca

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Nel 2000 anno di giubileo partecipai a una volontaria sospensione del nutrimento.

Va con il nome di sciopero della fame, ma per rispetto della terribile parola fame, non uso l’espressione. La fame è la più umiliante condizione umana, maledizione che perseguita l’umanità dai suoi inizi e ha spinto fino al cannibalismo.

Chi potendo nutrirsi sceglie di negarselo, non rientra nella dannata privazione della fame.

Il Parlamento nell’anno di giubileo 2000 ricevette a camere riunite il pontefice che chiese all’assemblea un atto di riconciliazione e di amnistia. Fu congedato con un applauso e una scrollata di spalle.

Alcuni detenuti sostennero quella richiesta avviando una sospensione dell’alimentazione. Aderii alla proposta di alcuni cittadini di appoggiare nella stessa maniera dall’esterno.

Durò ventidue giorni. Conobbi la profondità di uno svuotamento, una debolezza sconosciuta eppure forte in determinazione.

Il prigioniero decide di praticare questa severa forma di protesta perché non riesce in nessun altro modo a farsi ascoltare.

Privato di libertà, di contatti, di voce, a un detenuto resta il proprio corpo per comunicare. Quando i suoi pur minimi diritti sono negati, mette a repentaglio la sua vita. Alcuni governi hanno lasciato e lasciano morire per continuare a negare.

Nelle nostre prigioni si contano molti suicidi. Chi si sospende il cibo non lo è. Anzi, invece di arrendersi decide di battersi per ottenere ascolto. Questa persona si avvicina all’ultimo confine e c’è una soglia di deperimento che non consente ritorno.

Venti anni fa non mi ci avvicinai.

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