Il sogno di Martin Luther King – di Lorenzo Cipolla

Il 28 agosto 1963 il pastore protestante e attivista per i diritti umani Martin Luther King Jr. proferì le celebri parole “I have a dream”. Per l’occasione, In Terris ha intervistato lo storico Carlo Felice Casula

Il 28 agosto del 1963, davanti a duecentocinquantamila persone giunte al Lincoln Memorial di Washington per la Marcia per il lavoro e la libertà, il pastore protestante e attivista per i diritti civili Martin Luther King in 17 minuti pronunciò uno dei discorsi passati alla Storia del Novecento e racchiuso nell’efficace formula “I have a dream”, cioè “Io ho un sogno”.

Si tratta di un discorso storico di quella che è probabilmente stata la principale figura, all’interno del vasto mondo delle realtà afroamericane impegnate nella lotta per i diritti, ispirato nel suo cammino e nei suoi ideali dal messaggio evangelico e dalla nonviolenza predicata ed esercitata da Mohandas “Mahatma” Karamchand Gandhi, quest’ultimo punto di riferimento anche per il leader sudafricano Nelson Mandela, a sua volta protagonista della fine del regime segregazionista dell’apartheid nel suo Paese all’inizio degli anni Novanta. Ed entrambi, sia King che Mandela, hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace, anche se a quasi trent’anni di distanza. Il pastore battista della Georgia nel 1964, mentre il primo presidente di colore del Sud Africa nel 1993.

Quella che lo stesso pastore King, assassinato poi il 4 aprile 1968 a Memphis, chiamava la sua “crociata per la giustizia” condusse a conquiste epocali per la popolazione afroamericana statunitense e per l’intero Paese: la legge Civil Rights Act del 1964, che dichiarò illegale la discriminazione basata, tra le altre cose, sul colore della pelle, e proibì la segregazione razziale nella registrazione per le elezioni e nelle strutture e nei luoghi pubblici in generale; e Voting Rights Act del 1965, che proibì la discriminazione razziale nel voto.

L’intervista

In occasione dell’anniversario di quella giornata, In Terris ha intervistato il professore emerito di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma 3 Carlo Felice  Casula.

Qual era il sogno di Martin Luther King?

“Il conseguimento per gli afroamericani e per le minoranze della piena cittadinanza e l’ottenimento e la pratica dei diritti. Per capire tutto questo, occorre avere presente le due biografie di Martin Luther King, quella umana e quella politica”.

Chi era allora King e in quale contesto è cresciuto?

“E’ nato nel 1929 e cresciuto ad Atlanta, in Georgia, nel Sud degli Stati Uniti, in una famiglia di due generazioni di pastori protestanti: il padre e il nonno. Il suo nome, Martin Luther, è già una fotografia di questa situazione. Gli USA dove nasce e trascorre la sua infanzia sono il Paese che da essere il più ricco e più sviluppato del mondo, con la crisi economica del ‘29 è finito in miseria, in molti contesti urbani. Questa situazione accentuò le difficoltà degli strati più poveri della popolazione, cioè gli immigrati e gli afroamericani, ottant’anni dopo l’affrancamento dalla schiavitù. Negli Stati del Sud degli USA, le chiese delle confessioni protestanti rappresentavano per gli afroamericani gli unici spazi di socializzazione, creatività e gioia, pensiamo per esempio al gospel. King apparteneva a quello che potremmo chiamare “ceto medio” e ha fatto gli studi universitari a Boston, nel cuore pulsante dell’intellighenzia americana più aperta, dove ha incontrato quella che poi diventerà sua moglie, Coretta Scott. Terminati gli studi, la coppia si trova di fronte a un bivio: restare a Boston o tornare nel Sud degli Stati Uniti”.

Quale delle due strade hanno preso?

“Hanno fatto una scelta di vita, tornando nel Sud e iniziando da subito a impegnarsi nella lotta per l’emancipazione e la liberazione degli afroamericani che vivevano in una situazione di profonda discriminazione. C’era una separazione tra cittadini bianchi e cittadini neri che riguardava tanti diversi aspetti della società, dall’istruzione – con le scuole separate – al trasporto pubblico, con mezzi riservati solo ai bianchi oppure con una netta suddivisione dei posti. Un evento importante nella vita di King è la vicenda di Rosa Parks, la sarta afroamericana che a Montgomery, in Alabama, un altro dei Stati del Sud degli Usa, l’1 dicembre 1955 rifiutò di cedere il posto che occupava a un passeggero bianco e pochi giorno dopo venne arrestata. Da questo episodio, che non fu il primo nel suo genere, scaturì un boicottaggio dal basso dei mezzi pubblici da parte della comunità afroamericana che durò più di un anno, quando la Corte suprema decretò che la segregazione razziale sui mezzi pubblici era incostituzionale. L’episodio diede avvio a un decennio di impegno e di lotta che per King non si muoveva sul piano individuale, ma su quella della lotta nonviolenta che nasceva dal basso. Il riferimento ideale era la frase del Vangelo “Porgi l’altra guancia”, non intesa però come un atto remissivo”.

In che modo King seppe toccare i cuori e le menti di chi lo ascoltava?

“La manifestazione del 28 agosto 1963 a Washington vide la presenza di diverse personalità americane, ad esempio del mondo della musica come la cantante gospel Mahalia Jackson e i cantautori folk Joan Baez e Bob Dylan, e venne seguita in diretta dall’emittente statunitense Cbs, avendo così un grande impatto mediatico. In quest’occasione King parlò a braccio e come ha detto uno studioso americano, il suo discorso non aveva uno stile politico ma era come un’omelia, con la predica, la ripetizione e il coinvolgimento degli uditori. Il “sogno” di cui parlava era ampio, e andava dal destino di libertà per gli afroamericani, alla giustizia sociale e ai diritti civili”.

 Quali sono stati i riferimenti ideali di King?

“I suoi riferimenti sono stati essenzialmente evangelici e biblici, per via della sua grande conoscenza delle Sacre scritture, e Gandhi, che in India aveva sperimentato l’efficacia della nonviolenza e della resistenza passiva. Così come Mandela, che a sua volta si è ispirato al Mahatma. Forse la scelta della nonviolenza da parte di King deriva dal contesto di violenza diffusa nel suo Paese”.

 Oggi possiamo dire che il sogno di King si è realizzato?

In parte sì, con i due mandati da presidente degli Stati Uniti di Barack Obama e attuale vicepresidenza di Kamala Harris. Credo però che sia King che gli esponenti più radicali dell’universo afroamericano come Angela Davis avessero la consapevolezza che il “sogno” non si realizzava completamente con la conquista dei diritti civili – che a metà degli anni Cinquanta negli USA erano fortemente compressi –, ma anche con l’ottenimento dei diritti sociali. C’è ancora molto da costruire, perché oggi è forte la presenza della componente afroamericana nella popolazione più povera ed emarginata nei ghetti dell’universo americano. Un cambiamento da  registrare tra “ieri” e “oggi” si osserva nelle strutture dei movimenti di protesta: King e il mondo afroamericano più radicale volevano creare strutture organizzative e associative, mentre movimenti più recenti come Black Lives Matters sembrano non avere forme organizzate, sfruttano le potenzialità della Rete e non sviluppano dei leader riconosciuti e stabili. Li accomuna però la grande abilità nell’uso dei media e la capacità di dare un respiro internazionale alle vicende.

 

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