Una quota – di Erri De Luca

Comincio la salita da quota 1972 m.
Attraverso il bosco di larici fino a che smette e inizia la pietraia.
Mentre i passi si appoggiano al pendio si aggira nella testa vuota del primo mattino il numero scritto sul cartello indicante la quota: 1972. I decimali coincidono con gli anni che ho raggiunto. Insieme agli altri numeri formano una data.
Ne avevo 22, stavo in Lotta Continua.
Continuo a salire. C’è da usare anche le mani.
Com’erano le mie di allora? Ancora non si erano applicate a lavori manuali. Erano buone per suonare una chitarra.

Arrivato sul tratto ripido le mani ora reggono appigli, spingono il corpo in su insieme ai piedi. Toccano la superficie ruvida della roccia, sfruttano le sporgenze.
Il corpo va a memoria, la testa nei ricordi invece arranca.

Erano anni di pugni chiusi alzati nelle strade. Il singolo era immerso in uno schieramento.
Ora sulla parete ho tanto spazio intorno, sopra e sotto. Non lo chiamo vuoto, perché è pieno della materia che non sono io.
Nel 1972 il vuoto era tra noi e i poteri costituiti.

Raggiungo la cima che mi sono dato per traguardo, vedo intorno le altre già salite.
Una croce di metallo segna il confine tra la sommità del suolo e l’aria sconfinata.
Dimentico la quota di partenza che mi ha fatto venire dei ricordi.
Al ritorno faccio la fotografia che giustifica questa pagina.

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