Il PD e la sua democrazia interna

30 maggio 2013
“Chi dice organizzazione, dice tendenza all’oligarchia. In ogni organizzazione, che si tratti di un partito, di un insieme di uffici etc., la tendenza aristocratica si manifesta in forma abbastanza pronunciata. Il meccanismo dell’organizzazione, nello stesso momento in cui offre una struttura solida, provoca gravi cambiamenti nella base organizzata. Inverte completamente le rispettive posizioni dei capi e delle basi. L’organizzazione ha come effetto quello di dividere il partito o il sindacato in una minoranza dirigente e una maggioranza diretta.”

“Quanto più la struttura di un’organizzazione si complica, cioè quanto più vede aumentare il numero dei suoi iscritti, crescere le proprie risorse e svilupparsi la propria stampa, più terreno perde il potere esercitato direttamente dalla base, soppiantato dal potere crescente delle commissioni”.

“Teoricamente, il capo non è più di un dipendente, sottomesso alle indicazioni della base. Il suo compito consiste nel ricevere e eseguire gli ordini di quest’ultima, della quale è soltanto un organo esecutivo”.

“Ma, in realtà, man mano che l’organizzazione si sviluppa, il diritto di controllo riconosciuto alle basi diventa sempre più illusorio. Gli iscritti devono rinunciare alla pretesa di dirigere o anche di supervisionare tutte le questioni amministrative”.

“E’ così che la sfera del controllo democratico arretra progressivamente per essere ridotta, alla fine, a un aspetto insignificante. In tutti i partiti socialisti, il numero di funzioni ritirate alle assemblee elettorali e trasferite ai consigli direttivi aumenta incessantemente. Si costruisce, in questo modo, un enorme edificio con una struttura complessa. Il principio della divisione del lavoro si impone progressivamente, le giurisdizioni si dividono e suddividono. Si forma una burocrazia rigorosamente ristretta e gerarchizzata”.

“Nella misura in cui il partito moderno evolve verso una forma di organizzazione più solida, vediamo accentuarsi la tendenza a sostituire i capi occasionali con capi di professione. Tutta l’organizzazione di un partito, anche se non molto complessa, esige un certo numero di persone che si consacrino completamente a essa”.

“Si può completare questa critica del sistema rappresentativo con la seguente osservazione politica di Proudhon: i rappresentanti del popolo, diceva, non appena raggiungono il potere, subito si mettono a consolidare e potenziare la propria forza. Circondano incessantemente le loro posizioni con nuove trincee difensive, fino a riuscire a liberarsi totalmente del controllo popolare. E’ un ciclo naturale, percorso da ogni tipo di potere: emanato dal popolo, finisce per collocarsi al di sopra del popolo”.

Tutti i testi sopra riportati non sono miei. Sono stati scritti nel 1911 dal sociologo tedesco Robert Michels (1876-1936), di ideali socialisti, che insegnò nelle Università di Germania, Francia e Italia”. Gli ultimi avvenimenti in casa PD mi hanno interrogato profondamentesu come siamo “gestiti” sia dalla struttura più “alta” fino ad arrivare ai “circoli”. Penso che dovremmo cambiare molto, se non tutto.
Quello che Michels ha denunciato 102 anni fa purtroppo è prassi ancora oggi. La direzione del partito è progressivamente occupata da un selezionato gruppo professionalizzato che, a ogni elezione, distribuisce al proprio interno i diversi compiti. I cacicchi sono sempre gli stessi, mentre le basi non hanno la possibilità di influire e rinnovare i quadri dirigenti.
Man mano che il partito conquista spazi di potere, si interessa sempre meno di promuovere il lavoro di base. La mobilitazione è sostituita dalla professionalizzazione (anche di quelli che occupano incarichi elettivi), la democrazia cede spazio all’autocrazia; l’ampliamento e la conservazione degli spazi di potere diventano più importanti dei principi programmatici e ideologici.
La Chiesa Cattolica, per esempio, è una tipica istituzione che ha assorbito la struttura imperiale e verticale dell’Impero Romano e, ancora oggi, non se n’è liberata. E tenta di giustificarlo con il pretesto che questa struttura deriva dalla volontà divina.
Mentre ci muoviamo a tentoni alla ricerca della democrazia reale, nella quale la volontà del popolo è ridotta a retorica demagogica, ci consola un’alleata invincibile di quanti criticano la perpetuazione degli stessi politici al potere: la morte. Ella, sì, fa procedere la fila, promuove il ricambio delle poltrone, apre spazio ai nuovi talenti.
Mi chiedo e chiedo: dovremmo sperare solo in Lei, o siamo in grado di riappropriarci di una reale partecipazione?
Mi chiedo e chiedo: ai nostri… che dire? La difficoltà del tempo presente è che oggi c’è paura, una paura che ha assunto la forma dell’insicurezza, del senso di solitudine e di smarrimento che domina soprattutto i giovani.
Mi chiedo e chiedo: di fronte a ciò occorre un passaggio del fuoco, occorre una spinta di coraggio, occorre che indichiamo una nuova via. Occorre non avere più paura del cambiamento!
Mi chiedo e chiedo: la posta in gioco è altissima, di conseguenza bisogna sporgerci un metro oltre l’attuale orizzonte politico. Perchè proprio oltre quel metro, oltre quello spazio minimo presidiato ancora dai vecchi fantasmi della politica, c’è la nostra libertà e l’unica possibilità di cambiamento.

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