Nei momenti di crisi spuntano quattro ombre che segnano la nostra storia. I loro effetti durano fino al giorno d’oggi.
La prima ombra è il nostro passato coloniale. Tutti i processi di colonialismo sono violenti. Significa invadere terreni, sottomettere popoli, obbligarli a parlare la lingua dell’invasore, assumere le forme politiche di altri e sottomettersi ad essi totalmente. Conseguenza nell’inconscio collettivo del popolo dominato: abbassare sempre la testa e essere indotti a pensare che solo quello che è straniero è buono.
La seconda ombra è stato il genocidio dei popoli nativi. Si tratta di più di quattro milioni di indios. I massacri di Mem de Sa il 31 maggio del 1580 che annientò i Tupiniquim e la Capitania di Ilhéus e peggio ancora la guerra dichiarata ufficialmente da D. Joao VI il 13 maggio 1808 che decimò i Botocudos (Krenac) nella valle del Rio Doce macchierà per sempre la memoria nazionale. Conseguenza: abbiamo difficoltà a convivere con il diverso, che viene inteso come diseguale. L’indio non è ancora considerato “persona umana“, perciò le sue terre gli vengono strappate. Molti sono assassinati, altri per non morire si suicidano. C’è una tradizione di Intolleranza.
La terza ombra, la più nefasta di tutte è stata la schiavitù. Fra i 4-5 milioni di neri furono deportati dall’ Africa come ‘merci’ da piazzare sul mercato per lavorare negli Engenhos o nelle città come schiavi. Noi abbiamo negato loro lo status di persona umana e i loro lamenti sotto le scudisciate ancora oggi salgono al cielo. Fu creata l’istituzione della Casa Grande e della Senzala. Gilberto Freyre chiarisce che non si tratta solo di una formazione umana patriarcale, ma di una struttura mentale che penetrò nei comportamenti della classe dei proprietari poi della parte dominante dominante. Conseguenze: non è obbligatorio rispettare l’altro; lui sta lì per servire noi. Se noi gli diamo un salario, è un atto caritatevole, non un diritto. Predominò l’autoritarismo; il privilegio sostituì il diritto e si creò uno Stato per servire gl’interessi dei potenti e non per il bene di tutti e una complicata burocrazia che allontana il popolo.
Raymundo Faoro (Os donos do poder) e lo storico accademico José Honorio Rodrigues (Conciliaçao e Reforma no Brasil) ci raccontano la violenza con cui il popolo fu trattato per impiantare lo Stato nazionale, frutto della conciliazione tra le classi opulente sempre, e sempre con esclusione intenzionale del popolo. Così è venuta fuori una nazione profondamente divisa tra pochi ricchi e grandi masse di poveri, uno dei paesi più diseguali del mondo, il che significa un paese violento e pieno di ingiustizie sociali.
Una società poggiata sull’ingiustizia sociale, mai creerà quella condizione interna che gli permetta uno scatto verso forme più civili di convivenza. Qui ha sempre dominato un capitalismo selvaggio e mai sono state prese misure per civilizzarlo. Ma dopo molte difficoltà e sconfitte, si è fatto un passo avanti: l’irruzione di tutti i tipi di movimenti sociali, articolati tra di loro. È nata una forza sociale potente, sboccata infine in forza politico-partitaria. Il Partido dos Trabalhadores e altre forze affini sono nate da questo sforzo titanico, sempre spiati, demonizzati, perseguitati e alcuni arrestati e uccisi. La lega dei partiti egemonizzati dal PT è riuscita a entrare nella stanza dei bottoni. Si fecero cose che non erano mai state fatte né pensate, sia prima sia dopo: dare la centralità dovuta al povero e all’emarginato. In funzione di questi, si organizzarono, come cunei nel sistema dominante, politiche sociali che hanno permesso a milioni di uscire dalla miseria e ottenere i benefici minimi della cittadinanza e della dignità.
Ma una quarta ombra oscura una realtà che sembrava tanto promettente: la corruzione. Sarebbe ipocrisia negare che da noi c’è sempre stata la corruzione, a tutti i livelli. Basta ricordare discorsi pesanti e memorabili di Ruy Barbosa in Parlamento. Settori importanti del PT si sono lasciati pungere dalla mosca azzurra, dal desiderio di potere e si sono corrotti, questo mai sarebbe potuto accadere, secondo i propositi iniziali del partito. Devono essere giudicati e puniti.
La giustizia si è limitata quasi soltanto a loro e si è mostrata molte volte parziale e con chiara volontà di persecuzione. I comportamenti illegali hanno fornito materiale per la stampa di opposizione e ai gruppi che sempre hanno dominato la scena politica, e che adesso vogliono tornare al potere con un progetto antiquato, neoliberale e insensibile all’ingiustizia sociale. Questi sono riusciti a mobilitare moltitudini richiedendo l’impeachment della Presidentessa Dilma, anche senza appiglio come affermano noti giuristi.
Mai mi sono iscritto al PT. Ma nonostante i suoi errori la causa che difende sarà sempre valida; fare una politica a favore dell’integrazione degli esclusi e umanizzare le nostre relazioni sociali per rendere meno malvagia la nostra società.