Waldemar Boff - La furia dei disperati


Sono contro la violenza di qualsiasi genere. In questo sono un seguace di Thoreau, Tolstoi, Gandhi, Martin Luther King, Aung San Suu Kyi e di tanti altri che, nel corso della storia, hanno cercato la trasformazione con la bontà e la resistenza attiva.
Tuttavia, non possiamo ignorare l’affermazione di Max Weber, nella sua celebre conferenza del 1919, intitolata La Politica come Vocazione, che dice che lo Stato detiene l’uso legittimo della forza e che ogni Stato si mantiene attraverso la violenza.

La recente guerra sociale tra lo Stato e la “marginalità”, a Rio, porta molti cittadini a valutazioni superficiali e a soluzioni semplicistiche di un problema che si trascina da secoli. Certamente, non sarà risolto in pochi anni prima di importanti cambiamenti a livello internazionale. Nel tentare di utilizzare la forza si corre il rischio che il problema si presenti sotto altra forma e con una forza raddoppiata. Il diritto negato grida senza sosta fino a che non riceve risposte. Alla fine può trasformarsi in furia disperata.

Questa guerra è intrecciata con la commercializzazione soprattutto della marijuana, della cocaina e del crack. Ma dobbiamo chiederci: chi sono i consumatori e a che classe sociale predominante appartengono? Qualcuno ha già sentito nei grandi media analisi che partano da questo punto di vista?

Si protesta per il mantenimento dell’“ordine” e non si esita a chiamare le forze armate per reprimere non un nemico esterno, ma i compatrioti dei quali non si conosce l’origine, ma solamente la vicenda della trasgressione. Dobbiamo chiederci: che “ordine” è questo, nel quale domina una concentrazione di reddito scandalosa e la cui dinamica economica esclude gran parte della popolazione dal mercato del lavoro, portandola alla disperazione?
I marginalizzati vengono chiamati “banditi”, “delinquenti”, “trafficanti”, “terroristi”. Qualcuno si è chiesto da quali famiglie provengono? Dove hanno studiato? Qual è la storia dei loro genitori e nonni? Che opportunità hanno avuto di educazione e assistenza pubblica? Senza rispondere a queste domande corriamo il serio rischio di trasformare le vittime in colpevoli di una situazione della quale essi non sono i principali responsabili.

Qualcuno chiama “bandito” chi trae profitti astronomici dalla speculazione finanziaria o guadagna cifre spaventose da un giorno all’altro con speculazioni di mercato o grazie a fughe di informazioni privilegiate? Qualcuno chiama “bandito” chi si appropria indebitamente di enormi aree di terra o chi riesce ad arricchirsi rapidamente usando tutti gli accorgimenti che il sistema permette?

Anísio Teixeira, Paulo Freire, Darcy Ribeiro e tanti altri educatori anonimi, tutti impegnati con una educazione trasformatrice e nazionalista, da anni reclamano una scuola pubblica a tempo pieno, di qualità, con professori preparati e valorizzati. Che fine hanno fatto i 500 CIEP(1) del Governo Brizola? Li abbiamo subito trasformati in scuole convenzionali con il doppio turno. Dove funzionano, nel nostro Stato, scuole pubbliche a tempo pieno, con un curriculum aggiornato e una vera assistenza agli studenti?

Questi “banditi” sono in gran parte adolescenti e giovani che non hanno portato a termine l’educazione di base e che sono stati gettati nella disperazione da politiche escludenti. Dove passano il giorno, quando non stanno a scuola? Lo passano nelle strade delle loro comunità, dediti all’ozio, alle tentazioni del vizio e agli amori fugaci, dai quali spesso nascono bambini indesiderati che rialimentano il circolo perverso della marginalizzazione. Molta gente applaude quando vengono ammazzati, come se, con la loro morte, le cause di questa grande sconfitta nazionale fossero messe a tacere.
Tutti sanno che la “banda corrotta” della polizia fa parte dell’ ”affare”. Che autorità hanno questi poliziotti che si scontrano con questa marginalità? D’altra parte, da dove vengono molti di loro? Probabilmente dalle classi popolari e possono portare ancora con sé i segni culturali d’origine.

Conosciamo per esperienza il tormento della vita delle comunità nelle sacche della violenza urbana. Lavoriamo da anni nella Baixada, in comunità considerate le più violente di tutto lo Stato. Seguiamo i bambini che crescono. Tristi e desolati li vediamo perdersi lentamente. Cerchiamo di capire il perché di questa tragedia, condivivendo con le loro famiglie, i loro compagni e portando avanti le nostre attività socioeducative sotto i colpi delle mitragliatrici che partono ora dai poliziotti, ora dai “ragazzini del movimento”.
La scorsa settimana, un ragazzo che conosciamo e seguiamo dalla pre-adolescenza, è stato ammazzato dalla polizia, insieme con altri tre. Era un bel ragazzo, alto, delicato. Conosciamo la madre, i fratelli, la storia della sua famiglia. E’ un altro essere umano, un cittadino, una intelligenza, uno spirito, un potenziale che è stato gettato via, in modo sacrilego, senza che nessuno se ne sia accorto o lamentato, salvo gli intimi.

Parafrasando il poeta simbolista Alphonsus Guimarães, le campane suonanoa morto con lugubri rintocchi: poveri umani, poveri umani! Non ci accorgiamo che qualsiasi ingiustizia o sofferenza inflitta a qualsiasi essere umano, è inflitta a tutti noi! Quanta ipocrisia nel recitare il Padre Nostro nelle chiese e, uscendo per strada, ignorare farisaicamente che tutti siamo membri della stessa famiglia! Le campane suonano a morto per la nostra insensibilità, per la nostra indifferenza, per la nostra mancanza di pietà
Desideriamo e preghiamo perché le campane suonino annunciando la nascita di un nuovo Brasile – patria amata e gentile di tutti i brasiliani!

1 - I CIEP, centri integrati di educazione pubblica sono stati progettati come scuole funzionanti dalle 8 della mattina alle 5 del pomeriggio, ciascuna era destinata a 1000 alunni.