Frei Betto
Io, il mercato, chiedo perdono!


Frei Betto è teologo brasiliano e scrittore


Sono gravemente malato. Vorrei porgere pubblicamente le mie scuse a tutti coloro che hanno avuto cieca fiducia in me.
Credevano nella mia presunta capacità di moltiplicare le ricchezze e hanno depositato nelle mie mani il frutto di anni di lavoro, di risparmi familiari, il capitale dei lori investimenti ed affari.
Chiedo scusa a chi vede i suoi risparmi svanire dai comignoli virtuali della borsa e a chi si vede strangolato, incapace di pagare per gli interessi alti, per la mancanza di credito, per la recessione incalzante.
So che negli ultimi decenni ho superato i miei limiti. Come Re Mida ho creato intorno a me una legione di devoti, come se avessi poteri divini. I miei apostoli, gli economisti neoliberali, giravano il mondo per diffondere il credo che la salute finanziaria di tutti i paesi sarebbe molto migliorata se ciascun paese si fosse genuflesso ai miei piedi.
Ho fatto in nodo che i governi e le opinioni pubbliche reputassero il mio buon esito alla mia libertà. Ho sciolto gli ormeggi della produzione e dello Stato, delle leggi e della moralità. Ho portato tutti gli incassi, valori, costi e quotazioni al casinò globale delle borse, ho trasformato il credito in prodotto di consumo e ho convinto una parte consistente dell’umanità che sarei stato capace del miracolo di far zampillare denaro dal denaro, senza la zavorra dei beni e dei servizi.
Mi convertii alla nuova fede convinto che, in caso di turbolenza, sarei stato capace di autoregolarmi, come accadeva con la matura, prima che il suo equilibrio subisse la razzia della cosiddetta civilizzazione.
Divenni onnipotente e onnisciente, mi imposi al pianeta come onnipresente. Mi globalizzai. Arrivai persino a non dormire mai. Se la borsa di Tokio taceva di notte, io ero tutto euforico su quella di San Paolo; se quella di New York chiudeva in ribasso, mi ripagava il rialzo di Londra.
La mia predica ha reso l’apertura di Wall Street come una liturgia televisiva trasmessa in tutto il globo terrestre. Mi sono trasformato in una cornucopia dalla cui bocca molti hanno creduto che sarebbe sempre stillata ricchezza facile, immediata e abbondante.
Chiedo scusa per aver ingannato molta gente in così breve tempo; in special modo gli economisti che hanno fatto i salti mortali per immunizzarmi con aiuti, sussidi e sovvenzioni dello Stato.
So che adesso le loro teorie si dilapidano come le loro azioni e vivono in uno stato di depressione pari a quello delle banche e delle grandi aziende.
Chiedo scusa per aver indotto moltitudine di gente ad accogliere, come fossero santificate, le parole del mio sommo pontefice Alan Greenspan, a capo della Federal Riserve per diciannove anni.
Ammetto di essere caduto nel peccato mortale di mantenere gli interessi bassi, inferiori all’indice d’inflazione per un lungo periodo. Così abbiamo indotto milioni di nordamericani a realizzare il sogno della casa di proprietà. Ottennero i mutui, comprarono gli immobili e, forte dell’aumento della domanda, io aumentai i prezzi e promossi l’inflazione. Per contenerla il governo ha fatto salire i tassi d’interesse… e l’insolvenza si è moltiplicata come la peste, minando la presunta solidità del sistema bancario.
A un certo punto mi è venuto un collasso. I paradigmi che mi sostenevano furono inghiottiti dall’imprevisto buco nero della mancanza di credito. La fontana si è prosciugata. Con i sandali dell’umiltà ai piedi supplico lo Stato che mi risparmi una morte ignominiosa. Non sopporto l’idea che io, e non una rivoluzione di sinistra, sia l’unico responsabile della progressiva paralisi del sistema finanziario. Non riesco ad immaginarmi tutelato dai governi come nei paesi socialisti. Proprio adesso che le banche centrali, istituzioni pubbliche, stavano acquistando autonomia dai governi che le hanno create e prendevano posto alle tavole dei miei cardinali, guarda un po’ che mi tocca vedere?
E’ finita la solfa che senza di me non c’è salvezza. Chiedo scusa in anticipo per la voragine che si aprirà in questo mondo globalizzato.
Addio credito anticipato! Gli interessi aumenteranno in proporzione all’insicurezza generalizzata.
Chiusi i rubinetti del credito, il consumatore si armerà di cautela e le aziende avranno sete di capitale. Costrette a ridurre la produzione faranno lo stesso con i lavoratori.
Paesi esportatori come il Brasile avranno meno clienti dall’altra parte del mondo: porteranno perciò meno denaro alle casse dei loro stati e dovranno ripensare le loro politiche economiche.
Chiedo scusa ai contribuenti dei paesi ricchi che vedono le loro tasse fare da salvagente a banche e finanziarie, un patrimonio che dovrebbe essere investito in diritti sociali, tutela ambientale e cultura.
Io, il mercato, chiedo scusa per aver commesso tanti peccati e per lasciarvi ora il peso della penitenza. So di essere cinico, perverso, redditizio. Non mi resta che supplicare lo Stato perché abbia pietà di me.
Non oso chiedere perdono a Dio, del quale ho preteso di occupare il posto. A quest’ora Lui mi guarderà dall’alto con il sorriso ironico che aveva nel vedere cadere la Torre di Babele.