La grande assente
11/06/12 18:12 Categoria Opinioni
Ci avete fatto caso, cari concittadini lettori, che da quando è caduto il muro di Berlino, di “giustizia sociale” non si parla più, nessuno nomina che si è andata globalizzando, l’organizzazione economica della comunità umana secondo il capitalismo, e che c’è stata una conversione planetaria ai dogmi del mercato e della competizione?
Tutti quanti hanno starnazzato di gioia quando l’utopia della fratellanza da incarnarsi in questo mondo si è suicidata; ma forse, in questi ultimi tempi, è possibile apprezzare con una maggior lucidità il risultato di suddetto suicidio. Col capitalismo ci siamo giocati la giustizia sociale; col mercato la fratellanza fra gli uomini, cioè il cristianesimo; con la competitività ci siamo giocato il sindacato. Ecco qualche pezza d’appoggio ai suddetti enunciati, sui quali in troppo pochi riflettono, ma dei quali non certo in troppo pochi pagano le conseguenze.
Quando il mondo era diviso in due, capitalismo e socialismo, in entrambi i sistemi era presente una progettualità politica, un progetto di trasformazione della società. Il socialismo cercava di realizzare la giustizia sociale, di garantire i diritti umani la lavoro, alla salute, all’istruzione a tutti i cittadini; di contenere le differenze ed i privilegi; di assicurare alla totalità dei cittadini per lo meno una povertà dignitosa, che garantisse il fondamentale, cibo, lavoro, salute ed istruzione a tutti quanti.
Per fare questo aveva bisogno di far volare bassi coloro che nascono con molti talenti e che cercano di utilizzarli per se stessi e non per il bene comune. Per questo aveva imposto un tipo di libertà che anteponeva quella dal bisogno alle successive libertà democratiche.
Anche il capitalismo aveva le sue progettualità: la prima era quella di sfottere il socialismo, prima che i poveri si accorgessero del suo valore, e che esso diventasse contagioso a livello globale. Poi ululava sistematicamente contro la limitazione delle libertà democratiche esistente nel progetto antagonista; e usava tutti gli strumenti di informazione che aveva nelle proprie mani per convincere il prossimo che esse erano prioritarie rispetto a quella del bisogno, garantita solo dal necessario a tutti, come se cibo, lavoro e salute venissero dopo la libertà di pensiero, parola e di stampa.
Poi, essendo il potere corruttore del denaro un cancro incontenibile, il capitalismo aveva comprato ed usato anche il cristianesimo, per dimostrare che la verità era dalla propria parte, e che il comunismo ateo materialista era una bestemmia contro Dio ed una minaccia per tutta l’umanità.
La sua progettualità, (del capitalismo), però era provvisoria, strumentale ai suddetti scopi. Riuscito a vincere nello scontro, fallita l’utopia della fratellanza per lo stesso motivo per cui il cristianesimo sta fallendo da diciassette secoli, (l’egoismo e la religione fanno parte della naturalità umana, mentre l’amore e la pratica della condivisione sono una conquista faticosa e sudata, cui pochi riescono a convertirsi), ecco che esso il capitalismo ha smesso di fingere e si è rivelato quale è lui stesso.
La vittoria di mammona è stata chiamata trionfo delle ideologie, (prima menzogna); poi si è usato il termine globalizzazione senza mai precisare cosa si andava globalizzando, cioè il capitalismo vincitore sul socialismo, (e questa la seconda macroimpuffata). Risultato? Il “beati gli indefinitamente ricchi” come unico progetto; il denaro come il vero dio-motore della società e di ogni attività umana; la speculazione finanziaria, l’economia virtuale, il massimo profitto strumentalizzando tutto e tutti quali imperativi etici da difendere e diffondere; il successo economico, e la ricchezza, quali criteri per il giudizio sulle persone, e per la selezione dei cittadini fra la razza ariana dei ricchi, dei vincitori, degli intelligenti, dei fortunati, e quella dei poveri, dei perdenti, degli sfortunati, dei diversamente abili, dei semplici degli incapaci.
A questo punto, defunta ogni progettualità per la trasformazione storica della realtà sia in rapporto alla giustizia fra gli uomini, e sia in rapporto al rispetto della natura e alla salvaguardia del creato, anche la politica si è dematerializzata e trasformata in immagine ed in gossip. Il leader si deve presentare bene, essere fotogenico e simpatico, se per caso è anche onesto lo si deve mettere in gabbia e far girare nel circo come una bestia rara; se scatena una guerra d’aggressione, ma va a messa la domenica con la famiglia, è uno che merita il voto; se occupa il posto che occupa attraverso i miliardi di dollari che la lobby di interessi che la sostiene ha investito su di lui, questo è il massimo della democrazia; se fra la sua condizione esistenziale e quella del cittadino-elettore, casomai nero e disoccupato, esiste una distanza siderale, ivi è perfetta letizia, perché il successo è un dono di Dio riservato a coloro che lo temono, anche se poi gli stessi, invece di temerlo Lo usano per riverire sua santità mammona….
È ora di passare agli altri due enunciati: col mercato ci siamo giocati la fratellanza, con la competitività il sindacato. Anche a questo proposito ci sarebbero tante cose da dire, tante sulle quali riflettere, tante da approfondire e precisare. Mi limiterò a pochi enunciati sistemici, perché il cancro era ed è il capitalismo, e le sue due emanazioni, mercato e competizione, ne condividono la malignità, la violenza ed il potere corruttore. Essendo il mercato la legge del più forte che detta le condizioni, e del più debole che deve accattarle; non essendo mai, il mercato, libero, perché, per essere libero, le due controparti dovrebbero, essere alla pari, nelle stesse condizioni economiche e culturali, il che è rarissimo; essendo sempre il ricco a fare il prezzo ed il povero a subirlo, addio alla fratellanza, addio alla compassione per le condizioni del più svantaggiato, addio al rispetto delle esigenze proprie della condizione umana!
Cibo, salute, istruzione hanno il loro prezzo, e se uno non ha danaro, a lui rimangono le libertà democratiche di pensiero, di parola e di stampa, assieme alla fame, alla malattia, all’ignoranza che espone ad ogni tipo di strumentalizzazione. E allora? A allora fratellanza impossibile, fratellanza negata e, di conseguenza, il fallimento del cristianesimo come sale della terra per costruire il Regno!
E perché, infine, la competitività ha soffocato e fatto morire la sostanza del sindacato, uno dei due strumenti non-violenti, assieme al voto, in mano ai poveri per riuscire ad ottenere dai ricchi e dai potenti il rispetto del diritto-dovere umano fondamentale del posto di lavoro? La risposta è semplicissima: nella competizione strutturalmente, c’è chi vince e c’è chi perde, e la occupazione degli uni provoca la disoccupazione degli altri; e il sindacato finisce di essere lo strumento di difesa di tutti, e diventa la corporazione che difende i più competitivi.
Quindi requiem per il sindacato, unito al requiem per il voto, perché il potere, attraverso l’informazione pilotata da lui stesso, rincoglionisce il prossimo e se lo lavora in modo che esso vota proprio per colui che lo sta fottendo.
Sto dando i numeri e parlando di archeologia culturale e politica? Forse è vero. Ma noi continuiamo a lasciare a piede libero il capitalismo, specie quello finanziario; le banche, il FMI, la BCE: nel nostro futuro c’è la dieta di Gandhi in un ecosistema trasformato in una discarica a cielo aperto.
Poco colesterolo e un po’ di diossina… e tanti auguri soprattutto a quelli che pontificano che il marxismo non serve più, che è roba di altri tempi…
Mario Mariotti
Tutti quanti hanno starnazzato di gioia quando l’utopia della fratellanza da incarnarsi in questo mondo si è suicidata; ma forse, in questi ultimi tempi, è possibile apprezzare con una maggior lucidità il risultato di suddetto suicidio. Col capitalismo ci siamo giocati la giustizia sociale; col mercato la fratellanza fra gli uomini, cioè il cristianesimo; con la competitività ci siamo giocato il sindacato. Ecco qualche pezza d’appoggio ai suddetti enunciati, sui quali in troppo pochi riflettono, ma dei quali non certo in troppo pochi pagano le conseguenze.
Quando il mondo era diviso in due, capitalismo e socialismo, in entrambi i sistemi era presente una progettualità politica, un progetto di trasformazione della società. Il socialismo cercava di realizzare la giustizia sociale, di garantire i diritti umani la lavoro, alla salute, all’istruzione a tutti i cittadini; di contenere le differenze ed i privilegi; di assicurare alla totalità dei cittadini per lo meno una povertà dignitosa, che garantisse il fondamentale, cibo, lavoro, salute ed istruzione a tutti quanti.
Per fare questo aveva bisogno di far volare bassi coloro che nascono con molti talenti e che cercano di utilizzarli per se stessi e non per il bene comune. Per questo aveva imposto un tipo di libertà che anteponeva quella dal bisogno alle successive libertà democratiche.
Anche il capitalismo aveva le sue progettualità: la prima era quella di sfottere il socialismo, prima che i poveri si accorgessero del suo valore, e che esso diventasse contagioso a livello globale. Poi ululava sistematicamente contro la limitazione delle libertà democratiche esistente nel progetto antagonista; e usava tutti gli strumenti di informazione che aveva nelle proprie mani per convincere il prossimo che esse erano prioritarie rispetto a quella del bisogno, garantita solo dal necessario a tutti, come se cibo, lavoro e salute venissero dopo la libertà di pensiero, parola e di stampa.
Poi, essendo il potere corruttore del denaro un cancro incontenibile, il capitalismo aveva comprato ed usato anche il cristianesimo, per dimostrare che la verità era dalla propria parte, e che il comunismo ateo materialista era una bestemmia contro Dio ed una minaccia per tutta l’umanità.
La sua progettualità, (del capitalismo), però era provvisoria, strumentale ai suddetti scopi. Riuscito a vincere nello scontro, fallita l’utopia della fratellanza per lo stesso motivo per cui il cristianesimo sta fallendo da diciassette secoli, (l’egoismo e la religione fanno parte della naturalità umana, mentre l’amore e la pratica della condivisione sono una conquista faticosa e sudata, cui pochi riescono a convertirsi), ecco che esso il capitalismo ha smesso di fingere e si è rivelato quale è lui stesso.
La vittoria di mammona è stata chiamata trionfo delle ideologie, (prima menzogna); poi si è usato il termine globalizzazione senza mai precisare cosa si andava globalizzando, cioè il capitalismo vincitore sul socialismo, (e questa la seconda macroimpuffata). Risultato? Il “beati gli indefinitamente ricchi” come unico progetto; il denaro come il vero dio-motore della società e di ogni attività umana; la speculazione finanziaria, l’economia virtuale, il massimo profitto strumentalizzando tutto e tutti quali imperativi etici da difendere e diffondere; il successo economico, e la ricchezza, quali criteri per il giudizio sulle persone, e per la selezione dei cittadini fra la razza ariana dei ricchi, dei vincitori, degli intelligenti, dei fortunati, e quella dei poveri, dei perdenti, degli sfortunati, dei diversamente abili, dei semplici degli incapaci.
A questo punto, defunta ogni progettualità per la trasformazione storica della realtà sia in rapporto alla giustizia fra gli uomini, e sia in rapporto al rispetto della natura e alla salvaguardia del creato, anche la politica si è dematerializzata e trasformata in immagine ed in gossip. Il leader si deve presentare bene, essere fotogenico e simpatico, se per caso è anche onesto lo si deve mettere in gabbia e far girare nel circo come una bestia rara; se scatena una guerra d’aggressione, ma va a messa la domenica con la famiglia, è uno che merita il voto; se occupa il posto che occupa attraverso i miliardi di dollari che la lobby di interessi che la sostiene ha investito su di lui, questo è il massimo della democrazia; se fra la sua condizione esistenziale e quella del cittadino-elettore, casomai nero e disoccupato, esiste una distanza siderale, ivi è perfetta letizia, perché il successo è un dono di Dio riservato a coloro che lo temono, anche se poi gli stessi, invece di temerlo Lo usano per riverire sua santità mammona….
È ora di passare agli altri due enunciati: col mercato ci siamo giocati la fratellanza, con la competitività il sindacato. Anche a questo proposito ci sarebbero tante cose da dire, tante sulle quali riflettere, tante da approfondire e precisare. Mi limiterò a pochi enunciati sistemici, perché il cancro era ed è il capitalismo, e le sue due emanazioni, mercato e competizione, ne condividono la malignità, la violenza ed il potere corruttore. Essendo il mercato la legge del più forte che detta le condizioni, e del più debole che deve accattarle; non essendo mai, il mercato, libero, perché, per essere libero, le due controparti dovrebbero, essere alla pari, nelle stesse condizioni economiche e culturali, il che è rarissimo; essendo sempre il ricco a fare il prezzo ed il povero a subirlo, addio alla fratellanza, addio alla compassione per le condizioni del più svantaggiato, addio al rispetto delle esigenze proprie della condizione umana!
Cibo, salute, istruzione hanno il loro prezzo, e se uno non ha danaro, a lui rimangono le libertà democratiche di pensiero, di parola e di stampa, assieme alla fame, alla malattia, all’ignoranza che espone ad ogni tipo di strumentalizzazione. E allora? A allora fratellanza impossibile, fratellanza negata e, di conseguenza, il fallimento del cristianesimo come sale della terra per costruire il Regno!
E perché, infine, la competitività ha soffocato e fatto morire la sostanza del sindacato, uno dei due strumenti non-violenti, assieme al voto, in mano ai poveri per riuscire ad ottenere dai ricchi e dai potenti il rispetto del diritto-dovere umano fondamentale del posto di lavoro? La risposta è semplicissima: nella competizione strutturalmente, c’è chi vince e c’è chi perde, e la occupazione degli uni provoca la disoccupazione degli altri; e il sindacato finisce di essere lo strumento di difesa di tutti, e diventa la corporazione che difende i più competitivi.
Quindi requiem per il sindacato, unito al requiem per il voto, perché il potere, attraverso l’informazione pilotata da lui stesso, rincoglionisce il prossimo e se lo lavora in modo che esso vota proprio per colui che lo sta fottendo.
Sto dando i numeri e parlando di archeologia culturale e politica? Forse è vero. Ma noi continuiamo a lasciare a piede libero il capitalismo, specie quello finanziario; le banche, il FMI, la BCE: nel nostro futuro c’è la dieta di Gandhi in un ecosistema trasformato in una discarica a cielo aperto.
Poco colesterolo e un po’ di diossina… e tanti auguri soprattutto a quelli che pontificano che il marxismo non serve più, che è roba di altri tempi…
Mario Mariotti